4. Cashback: visto che si parla di Draghi, va citata pure la mancetta da 150 euro a semestre diventata bandiera del grillismo vedovo di Conte. La misura, voluta e difesa da Giuseppi durante il suo mandato, è stata abbattuta dall’ex governatore della Bce. Il quale non si è solo limitato a sospenderla, ma l‘ha pure distrutta in Consiglio dei ministri definendola, in sintesi, uno strumento inutile che favorisce i ricchi, non combatte l’evasione e non fa aumentare l’uso della moneta elettronica. In pratica, un disastro.
5. Recovery Plan: il ritornello che ogni mattina Giuseppi (e Travaglio) si ripetono allo specchio è che il Recovery Plan sia il grande capolavoro dell’era contiana. Già, peccato vi siano un paio di questioni di non poco conto. Primo: l’Italia resta creditrice netta per 3 miliardi di euro, quindi bene esultare ma non benissimo. Secondo: se si svegliano i frugali, con il via libera della Germania possono bloccarci i fondi, che sono legati a riforme di fatto dettate dall’Ue. Tra queste, giusto per citarne una, c’è la transizione ecologica dalle mille insidie (chiedere a Cingolani per conferma). Terzo: in Europa hanno tirato un sospiro di sollievo quando hanno scoperto che a gestire il pacco di miliardi non sarà l’uomo degli inutili Stati Generali di villa Pamphili, ma un signore che aveva guidato la Bce.
Non bisogna dunque sorprendersi di quanto sta accadendo nel M5S, che forse potremmo annoverare come sesto flop di Conte. Dopo essere stato presentato come l’unto dal Signore in grado di riportare il Movimento ai fasti che furono, Giuseppi è riuscito a seminare il caos totale nel primo partito italiano. Una faida dagli effetti imprevedibili. Ma oggi Conte sembra essere sul punto di spaccare il grillismo in due anime rischiando così di condannarlo all’irrilevanza. Se ci riuscisse, sarebbe il suo ultimo “capolavoro”.