In politica bisogna saper far tesoro degli errori, quindi fare autocritica quando si perde, ma anche pensare subito all’appuntamento successivo, alla possibilità di una rivincita. E ora non c’è dubbio che questa se ci sarà passerà per una sola strada: eleggere coi propri voti il prossimo Presidente della Repubblica, non farsi imporre un nome dalla sinistra.
1. Che l’appuntamento di gennaio non sia mera routine è risaputo: in un sistema politico in crisi strutturale quale è ormai il nostro da anni, il Capo dello Stato svolge una funzione che si allontana sempre più da quella meramente notarile che aveva un tempo: egli diventa un giocatore in campo, il più importane, che con la sua azione, più o meno palese o persuasiva, può determinare od ostacolare la formazione di nuovi equilibri. In sostanza, avere per i prossimi sette anni un inquilino al Quirinale che “remi contro” è un lusso che il centrodestra non può assolutamente permettersi.
2. Ora, è vero che la nostra parte politica non ha i voti per eleggere da sola il Capo dello Stato, ma in verità i suffragi sufficienti non ci sono nemmeno dall’altra parte. È chiaro allora che se non si trova un nome trasversale che stia bene a tutti, impresa quasi impossibile in questa fase, la partita si giocherà sulla compattezza che i due blocchi dimostreranno prima e sulla capacità che avranno dopo di far giungere dall’esterno qualche “rinforzo” (che si tratti un “centrista” che si pone a cavallo fra i due schieramenti o di qualche “franco tiratore” dell’altra parte poco importa). Vince chi resta compatto, l’unità è un imperativo! L’appello all’unità emerso dall’incontro di ieri fra Silvio Berlusconi, Giorgia Meloni e Matteo Salvini a Villa ex Zeffirelli non è perciò di circostanza, non può esserlo: se si perde questa volta, si perde davvero molto.
3. Restare compatti in verità in questa occasione serve non solo per raggiungere l’obiettivo specifico, ma anche per mandare un messaggio agli elettori, e anche a se stessi, dopo la batosta delle amministrative. Rincuorerà e trasmetterà un’immagine positiva e vincente di cui il centrodestra oggi ha veramente bisogno.
4. La domanda da porsi è allora, a conclusione di questo ragionamento, la seguente: c’è un nome su cui i partiti del centrodestra possono trovare un accordo e che non scontenti nessuno dei tre? E che soprattutto non sia un perfetto sconosciuto pescato da qualche anfratto della cronaca o della storia? Nonostante qualche titubanza espressa nelle scorse settimane dal presidente di Fratelli d’Italia, a me sembra che l’unico nome spendibile e unitario che abbia il centrodestra sia quello di Silvio Berlusconi. Gli italiani capirebbero subito questa scelta, che sarebbe anche un modo concreto per manifestare gratitudine e rispetto per chi quella coalizione l’ha messa su per la prima volta, alla caduta della Prima Repubblica, e ha rappresentato poi da questo e da tanti altri punti di vista l’uomo che più ha segnato gli ultimi venticinque anni di storia paria.
5. Andare sin dal primo giorno tutti insieme in aula col nome del Cavaliere, sarebbe anche il modo per affermare in concreto un’identità, storica e culturale insieme, che probabilmente nell’ultimo periodo gli italiani di destra hanno faticato a ritrovare e che perciò li ha fatti disorientare. Indipendentemente dall’esito finale, la destra avrebbe dimostrato di esserci e di essere orgogliosa delle proprie radici e di un’identità forte conquistata nella storia e non frutto elucubrazioni intellettuali da tavolino.
Corrado Ocone, 21 ottobre 2021