Danilo Toninelli ha dato del pavido a Matteo Salvini: “Alle riunioni” sulla revoca delle concessioni ai Benetton, gli ha rinfacciato, “non c’eri, perché te la facevi sotto”. Ma che risultati ha prodotto il coraggio dell’ex ministro pentastellato?
Cominciamo dalla lettera tirata fuori ieri dall’Huffington Post e datata 5 febbraio 2019, quando al Mit c’era proprio Toninelli. Nella missiva si legge, a proposito del nuovo ponte di Genova, che “al termine dei lavori, […] l’infrastruttura deve ritenersi riassorbita nel rapporto concessorio vigente al momento del trasferimento”. Insomma, mesi di strepiti contro Atlantia e poi la constatazione dell’amara realtà: senza un’alternativa, il viadotto doveva tornare in mano a chi già gestiva il tratto precedente e il tratto successivo di autostrada.
D’altro canto, Danilo Don Chisciotte Toninelli è uno abituato a combattere contro i mulini a vento. Prendete l’altro dossier sul quale il Braveheart del M5s sollevò un polverone: le autostrade A24 e A25, gestite dal gruppo Toto. Constatando il degrado dei ponti che insistono su un tracciato ad alto rischio sismico, l’impavido Toninelli minacciò la revoca della concessione. Direte voi: quando si negozia, si inizia sempre così. Sparandola grossa, chiedendo cento, per avere almeno dieci. Ma lo stratega grillino, l’Erwin Rommel di Soresina, ha cominciato da cento, finendo per dare lui mille. Dopo un braccio di ferro infinito e complici le pendenze giudiziarie dei Toto con il ministero e Anas, Toninelli è arrivato ad accordarsi per l’approvazione del nuovo Piano economico e finanziario di Strada dei parchi: un maxi progetto per lavori di messa in sicurezza da tre miliardi. Di cui due concessi dallo Stato. Già: Danilo Cuor di Leone Toninelli doveva addirittura revocare la concessione a Toto e invece, tira e molla, s’è risolto a dargli due miliardi. Solo per la cronaca: il Pef è stato respinto a ottobre scorso dalla Commissione Ue, finché, ad aprile, sulla base di una sentenza del Consiglio di Stato, non è stato nominato un commissario ad acta per l’attuazione del Piano di Strada dei parchi.
Sarà che i pentastellati proprio non leggono le carte. Sarà che parlano a vanvera, sventolano bandiere assurde, promettono l’impossibile e scelgono battaglie perse. Fatto sta che, pian piano, stanno cadendo tutti i loro tabù. E le infrastrutture sono il capitolo più clamoroso. Nell’elenco di grandi opere da sbloccare, previsto dal decreto Semplificazioni (l’ennesimo di Giuseppe Conte, annunciato in conferenza stampa prima di esistere), compaiono ad esempio due vecchie conoscenze del M5s: la Tav e la Gronda di Genova. Sì, proprio l’opera che per Beppe Grillo era del tutto inutile, perché tanto quella del ponte Morandi a rischio crollo era “una favoletta” (così sul blog dell’Elevato, nel lontano 2013). Sì, proprio la Gronda bocciata dall’analisi costi-benefici commissionata dal Mit di Toninelli. Certo, quest’ultimo, in villa Patrizi, non c’è più da un pezzo. I grillini, tuttavia, governano: possibile che si siano accodati al Pd anche su questo?
Evidentemente, gli “onesti” sanno che saranno costretti a obbedire, visto che i loro alleati hanno già pronto il piano per sostituirli. Per lanciarlo, hanno scomodato Romano Prodi: un padre fondatore del vecchio Ulivo, nonché l’unico sinistro in grado di battere alle elezioni Silvio Berlusconi. Mortadella ci ha informati che per lui andrebbe benissimo se Forza Italia soccorresse i giallorossi. Soprattutto i rossi – e quel pezzo di gialli che avanzerebbe da uno sbriciolamento, eventualmente innescato dal voto sul Mes o da qualche altro incidente di percorso. A questo scenario s’oppongono due elementi.
Primo, lo stesso Cavaliere: lui ha giurato di voler rimanere nell’alveo del centrodestra e di essere semmai disposto a imbarcare qualche “responsabile”. La tentazione del fronte repubblicano, però, può diventare irresistibile. Specialmente se di mezzo ci sono la riabilitazione, l’opportunità di essere celebrato quale statista e, magari, quella di intercettare (che paradosso!) il progetto di Grillo sulla banda larga, ritagliandosi una quota in quello che dovrebbe il colosso foraggiato da Cdp.
Secondo elemento, il presidente della Repubblica: Sergio Mattarella ha lasciato intedere che oltre questo governo e, presumibilmente, questa maggioranza, ci sono solo le elezioni. Ma voi vi fidate? Se di qui a luglio – inizio del semestre bianco, quando non si potranno più sciogliere le Camere – l’esecutivo potesse contare sul soccorso azzurro alla bisogna, senza rimpasti né scossoni, magari in cambio di un ruolo più centrale di Fi nelle trattative per il prossimo inquilino del Quirinale, credete che Mattarella prenderebbe la situazione in mano? E rimanderebbe il Paese alle urne, sospinto dalla crisi economica che scoppierà in autunno, dando finalmente un taglio ai bluff dei grillini, ai rinvii di Conte, alle furbate del Pd?
Alessandro Rico, 10 luglio 2020