Non ho mai particolarmente amato Chiara Ferragni e l’ho scritto più volte anche su questo sito: non ho mai trovato educativo per i ragazzini e ragazzine che la seguono l’aver sempre mostrato non il suo innegabile lavoro ma soltanto il risultato (la ricchezza). Ha contribuito a far implodere nel reale – sino quasi alla sua sostituzione – quella che da tempo definisco “instagrammatica della vita”, un mondo che doveva essere vetrina e che è diventato esso stesso mondo.
Eppure Chiara Ferragni è geniale perché è stata la prima ad intuire che nell’Italia dell’alta moda esportata in tutto il mondo, a dettare la comunicazione del fashion nel mondo non erano e sono magazine italiani ma “Vogue America”, “Vogue Giappone”, “Vogue Francia”. Dagli anni ‘60 con la direzione di Diana Vreeland che portò “Vogue America” ad essere la “Bibbia della Moda” sino ad oggi con Anna Wintour.
Queste testate erano e sono il core-business della moda nel mondo. In Italia ha sempre vinto a “Vogue” il cuore più che il portafoglio, la moda come arte più che la moda come vettore meramente economico.
Franca Sozzani ha reso la moda una favola capace di trasformarsi in rivoluzione culturale: ad esempio la sua lotta alla diffusione dell’Aids e “Black Issue” un numero speciale che è stato decisivo per l’integrazione delle modelle e degli stilisti di colore. Ma di economia, quasi zero.
Chiara Ferragni ha compreso questo vuoto e l’ha colmato. Ha contributo a rendere accessibile la moda a tutti. Da mondo irraggiungibile da noi comuni mortali a un lusso pret-a-porter. Da questa impresa la gioia anche degli stilisti. Sino all’altro ieri era osannata non solo dai 30 milioni di follower ma – ricordiamolo- così potente da diventare testimonial di grandi musei italiani o co-conduttrice del festival di Sanremo. Dai Musei degli Uffizi di Firenze alla canzone nazional- popolare: si era presa tutto l’arco costituzionale italiano. E tutto in pochissimi anni.
Questo si chiama fare impresa.
E finalmente l’hanno capito anche i suoi follower, anche se nel peggiore dei modi. E per i giornalisti – da anni costretti ad incensarla per non essere spazzati via da social, stilisti e le loro aziende – riuscire finalmente a criticarla è stato un grande regalo di Natale. Ma anche per tutti noi, che ormai abbiamo ridotto la nostra vita a dei talk show social dove ognuno sta sempre dalla parte del più forte in quel momento. Il momento dopo è un attimo cambiare barricata.
Non è il mio caso: non ho mai amato Chiara Ferragni ma attaccarla è il solito gioco comunicativo della società di massa. Io non so se sia colpevole o innocente – esistono i giudici per questo – ma non credo sia stato un errore di comunicazione. L’errore di comunicazione è adesso che Chiara Ferragni – e tutti i giornalisti che la attaccano – sta in silenzio.
Perché non approfittare del clamore per farla finita con un sistema che muove milioni di euro? La beneficienza della società dello spettacolo. Quella per intenderci che ci fa partecipare a cene e charity dove paghiamo centinaia di euro per attovagliarci ad una serata di beneficienza. Perché devo pagare, ad esempio 200 euro, per partecipare ad una cena di raccolta fondi? Secondo voi cibo, location, camerieri, cuochi, stampa dei biglietti di invito, francobolli sono gratis? E cosa rimane di quei 200 euro? Se va bene 80.
Non faremmo più del bene se versassimo direttamente i soldi a chi ne ha bisogno? Certo non ci sarebbero foto, video, articoli di giornale, pubbliche relazioni: e quindi a chi interesserebbe? Purtroppo a pochi.
E quindi siamo tutti noi – non Chiara Ferragni – come sempre i colpevoli. E lo siamo ancora di più quando vogliamo ergerci anche a giudici.
Gian Paolo Serino, 30 dicembre 2023
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