Tutto nasce nel mese di aprile, quando l’influencer trans Dylan Mulvaney (in quel momento, 1,8 milioni di follower su Instagram e 10,8 milioni su TikTok, grazie a contenuti che seguono il suo percorso di transizione di genere) ha pubblicato un video mentre beveva la Bud Light, che da sempre detiene lo scettro di birra più venduta negli Stati Uniti.
Il boicottaggio della Bud
Il video rientrava in un progetto più ampio della Bud, ovvero quello di sensibilizzare i consumatori sul mondo Lgbt+, cercando ovviamente di attirare il nuovo segmento di mercato (su tutti donne, giovani e trans), che storicamente rappresentano un bacino di consumatori più limitato rispetto a quello maschile statunitense.
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Detto, fatto: l’ondata pubblicitaria ha avuto gli esiti opposti. Su sollecitazione dei leader conservatori e repubblicani, infatti, la popolazione americana sta nei fatti boicottando la Bud, che ora ha perso pure il primo posto di birra più venduta nel Paese. Ma non finisce qui. In poche settimane, il marchio di birra ha visto calare di quasi un quarto la sua quota di mercato (con il titolo che è arrivato a perdere fino al 20 per cento) dopo l’annuncio del produttore che, anche quest’anno, la Bud sarebbe stata tra gli sponsor del Gay Pride.
“Una birra prima di tutti, ora di nessuno”
Un vero e proprio smacco che l’azienda, la quale ha cercato di porre ai ripari proponendo ai consumatori uno sconto di 15 dollari sull’acquisto di una confezione da 15 birre. Ma nulla da fare: ora, gli americani boicottano la Bud anche se è gratis. “Una birra che prima era di tutti e ora è di nessuno”, ha sentenziato poche ore fa l’ex presidente della sezione vendite e distribuzione di Anheuser-Busch, Anson Frericks.
Frericks ha poi continuato il discorso – pubblicato sulle colonne del quotidiano britannico Daily Mail – lanciando una vera e propria invettiva contro l’attuale Ceo di Bud Light, Brendan Whitworth: “Dovrebbe andarsene prima di fare ulteriori danni a un brand che ha già perso miliardi di dollari sul mercato”. E ancora: “Whitworth ha dimostrato chiaramente di non essere in grado di risolvere la crisi Mulvaney e, nonostante abbia avuto diverse occasioni per cambiare, la sua gestione ha fallito. L’influencer ha fatto quello che avrebbe dovuto fare Whitworht con un minimo di saggezza qualche settimana fa, ovvero tagliare tutti i legami”.
Gli altri casi
Ma il caso non riguarda solamente la Bud. Anche altre aziende americane, come per esempio Kohl’s, Walmart e Target, tre delle maggiori catene di magazzini negli Usa, sono finite nel mirino del “boicottaggio” dei consumatori americani. Target, per esempio, ha visto anche molti negozi vandalizzati, oltre ad aver subito gravi perdite dei valori delle sue azioni.
Ancora, un contraccolpo lo hanno sentito anche altre aziende multinazionali top, come per esempio Nike, Mars e la compagnia aerea SouthWest, dopo essersi schierati a fianco del mondo arcobaleno. A ciò, si aggiungono anche i casi di Lego, Starbucks ed il gruppo VF Corp, che contiene al suo interno North Face e Timberland. Ora, tutte queste aziende dovranno fare i conti con quelle che sono le preferenze del mercato. Nel frattempo, la Bud sembra voler tornare sui suoi passi: i due manager del marketing che hanno reclutato la transgender Mulvaney sono in aspettativa. Forse, la pezza è anche peggiore del buco.
Matteo Milanesi, 5 luglio 2023