I danni ideologici dei temi trendy

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Il Recovery Fund non lo abbiamo ancora incassato, ma ha già prodotto dei danni, per così dire, ideologici. Essi si chiamano: digitalizzazione e sostenibilità. Le due parole chiave dietro al quale rischiano di consumarsi le peggiori nefandezze e che, ovviamente, sono state subito cavalcate da politici e media. Ciò che non è digitale fa orrore e ciò che è sostenibile è automaticamente da finanziare. Ci siamo già passati un paio di lustri fa. Sempre su spinta comunitaria abbiamo inventato le cosiddette energie rinnovabili. Sole e vento in effetti lo sono. Meno rinnovabili sono i 240 miliardi di euro che abbiamo speso per incentivarle e che gravano per 12 miliardi all’anno nelle tasche di ogni famiglia italiana.

La digitalizzaizone nella pubblica amministrazione

Ma torniamo ad oggi. Difficile dirsi contrari alla digitalizzazione. E in effetti il mercato non lo è. Occorre comunicare ai burocrati di Bruxelles che l’inventivo al rendersi digitali il privato lo ha già colto e che le nuove generazioni (quelle che pagheranno le follie spendaccione di oggi) sono iperdigitali nei loro consumi e rapporti (anche troppo pensa qualcuno).

Prendete un bambino sotto i cinque anni e con tutta probabilità toccherà lo schermo del vostro televisore ritenendo che esso sia «touch». La digitalizzazione dovrebbe piuttosto riguardare la pubblica amministrazione. Ma qui il punto sembra riguardare più l’organizzazione del lavoro che le tecnologie. Provate a fare la Cie (carta identità elettronica): a Milano avviene in poco tempo e con pochi click; all’anagrafe di Roma occorrono sei mesi per la sola prenotazione e per la foto vi mandano al chioschetto davanti agli uffici, quasi fosse gestito da un parente. Siamo l’unico paese al mondo che ha la Pec e tra i pochi nella galassia in cui Cie (di cui abbiamo parlato) e Spid si fanno concorrenza per la vostra identità digitale. Ma la cosa non riguarda solo noi.

Fineco aveva un bellissimo sistema di autenticazione ai suoi servizi bancari nati digitali, primo della classe quando gli altri ancora compravano sportelli, ebbene a causa di una cervellotica direttiva europea ha dovuto adeguarsi a doppie verifiche per le quali tocca autenticarsi doppiamente anche per scaricarsi un estratto conto. Insomma la digitalizzazione del pubblico e delle direttive è diventata una nuova burocrazia, che forse proprio per questo piace tanto a Bruxelles.

Sulla sostenibilità dobbiamo stendere un velo ancora più pietoso. Infatti a differenza della digitalizzazione questa è diventata motivo di «corruzione finanziaria» anche per i privati. Se il mercato non ha buon prodotto, sa che con la leva della sostenibilità può riuscire a piazzarlo. La sostenibilità, ovviamente desiderabile, è diventata come l’eguaglianza sociale (battuta del grande Hayek): un miraggio, grazie al quale si perpetrano i peggiori crimini. Esageriamo? Pensate a rifiuti e al paradosso dei termovalorizzatori. Questi ultimi bruciano monnezza (semplifichiamo) per creare energia e producono ridotti scarti. Per evitare questi ultimi non si costruiscono (almeno in Italia, pensate che nel nuovo piano industriale della ex municipalizzata A2A, una parte degli investimenti potrebbe finire proprio per questo all’estero) e si preferisce sotterrarli. Il tutto per il miraggio di riciclarli al cento per cento.

Sostenibilità, parola vuota

La sostenibilità è diventato un tale passpartout ideologico, per cui tra poco dovremmo scrivere quanta Co2 abbiamo prodotto per questo articolo.

Viviamo in un mondo talmente ipocrita per cui John Kerry, nuovo Mr Clima di Biden, si può presentare in Islanda a prendersi il premio per il clima, a bordo di un energivoro aereo privato. D’altronde aveva già scritto tutto Michael Crichton in Last fear. Ma quello era un romanzo.

Nicola Porro, Il Giornale 13 febbraio 2021

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