I delitti “impossibili” di Rino Cammilleri

Il racconto di 14 gialli, tutti diversi tra loro, nel nuovo libro dello scrittore Cammilleri

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Hai una scatola di cioccolatini assortiti di altissima qualità, la apri, li ammiri e uno a uno li gusti con egoismo e lentezza. Ecco cos’è il giallo Nuovi delitti nella camera chiusa di Rino Cammilleri.

Si sceglie un cioccolatino alla volta, un racconto, senza fretta. Sono quattordici e cesellati come gioielli preziosi, in sé conclusi e tuttavia sì stuzzicanti da volerne provare ancora uno e poi un altro ancora. Perché questi racconti gialli sono l’uno diverso dall’altro e ti portano ovunque, anche se sei accoccolato sulla tua poltrona preferita. A Bensalem, per esempio. Un mondo futuristico e quasi perfetto che incarna le più importanti teorie utopistiche, un paradiso artificiale in cui è stata bandita la proprietà privata “delle cose e dei corpi” considerata l’origine di tutti i mali. E se ci scappa un omicidio? Forse è il segnale della “fine del sogno di una comunità perfetta e libera dal male”.

Qualche racconto più in là ci troviamo nel monastero benedettino di Vallescura, nel XIII secolo, a bussare forte alla porta della cella dell’inquisitore Corrado da Tours, per cercare di capire che tipo di morte ha colto il suo amico abate; studiando ogni centimetro di quella cella chiusa dall’interno fino ad analizzare il pitale stracolmo e nauseabondo sotto il letto. “Corrado, che si era chinato per estrarlo, dovette storcere la faccia per il disgusto. Piscio, vomito, diarrea, il tutto di colore innaturale, giallo-verdastro e ributtante”. Una puntualità descrittiva che ci fa sentire lezzi e profumi tra le parole, ma soprattutto una cura storica, propria dell’autore, documentata, precisa e mai pesante. Come quando ci racconta di Margaret Ward, la «Perla del Tyburn», donna cattolica di nobile famiglia inglese, impiccata sotto il regno di Elisabetta I per aver aiutato un sacerdote a evadere dal carcere. “La Ward, con una nobiltà che commosse tutti, dichiarò che la sua fedeltà alla Regina non era mai venuta meno, tuttavia nessuno poteva chiederle di rinunciare alla sua religione. La Regina avrebbe potuto garantirle, certo, una vita comoda su questa terra, ma non la salvezza della sua anima. Se era costretta a scegliere, optava per quest’ultima. Piuttosto che rinnegare il vero Dio e la vera Chiesa preferiva sacrificare la vita”.

Il Nostro sa trattare il vero storico e l’invenzione con la stessa duttilità fino a convincerci dell’esistenza di una conchiglia preziosissima e delicatissima, dalla forma simile a una locomotiva, un vero vezzo per i collezionisti come Victor Humperdinck, la Meganoblaster locomotensis; tuttavia, solo dopo averla “googolata”, scopri la nota dell’autore che, quasi prevedendo la curiosità del lettore, se la ride sotto i baffi e, dopo una tirata di sigaro, sornione, ti dice che non esiste.

Alcuni protagonisti erano già presenti nel primo giallo Mondadori dall’omonimo titolo, altri sono delle new entry, come l’ispettore Shylock Homer, di Scotland Yard che, piccato, ancor prima di ascoltare il quesito, anticipa l’interlocutore: “Sì, lo so, assomiglio a Sherlock Holmes, anche se, in verità, è piuttosto difficile assomigliare a un personaggio di totale invenzione e descritto solo sulla carta […] Ora, prima che si decida a farmi entrare, mi corre l’obbligo di chiudere questa fastidiosa parte, fastidiosa perché si ripete ogni volta io sia chiamato per servizio presso un domicilio privato, anticipandole che del mio guardaroba non fanno parte berretti da cacciatore di cervi né pastrani a scacchi scozzesi. Infine, al mio fianco, come può vedere dalla divisa, non c’è il dottor John Watson ma il sergente Sean O’Malley. Adesso, cortesemente, possiamo entrare?” Dannatamente solo e acuto, costringe amorevolmente O’Malley ad ascoltare le sue deduzioni argute che si rivelano ogni volta puntualmente esatte, come nel caso della molletta.

Il vero quid accattivante sta tuttavia nell’elemento ricorrente in ogni narrazione: tutti i delitti si consumano in un luogo chiuso dall’interno, ma come è possibile? A seconda dell’ambientazione, l’omicidio avviene infatti in una camera, una sala riunioni, una cella, una prigione zulu o nella stanza di un ragazzo adolescente, ma pur sempre in ambienti fisicamente circoscritti di cui si percepiscono quasi visivamente, e a volte claustrofobicamente, i limiti spaziali.

E i limiti della stanza sono proprio quelli che gli hikikomori cercano, come una corazza protettiva; si tratta di persone, perlopiù ragazzi, colpiti da una sindrome che induce a chiudersi nella propria stanza senza mai uscirne, passando i giorni davanti al computer, senza frequentare nessuno, neanche la scuola. Ci sentiamo coinvolti da questo fenomeno giovanile una volta così lontano e ora, ahimè, troppo familiare. “Dove stava andando il Giappone?” si chiede l’ispettore Matsudaira Hiroshi della prefettura di Osaka. E noi? Dove stiamo andando?

Cammilleri stimola la nostra curiosità con dettagli originali che diventano chiavi importanti per il plot come il «Verde di Scheele», un arsenico di rame usato per dipingere stucchi e quadri o il fiore di Kadupul, che fiorisce una volta l’anno solo di notte e appassisce con le prime luci dell’alba.

Ci lascia immaginare le soluzioni, sempre diverse e ci si può sbizzarrire nel tentativo risolvere il caso prima di lui, il tempo di scartare un cioccolatino e Cammilleri ci stupisce con dovizia scientifica verso una soluzione arguta e mai scontata.

Fiorenza Cirillo, 9 gennaio 2022

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