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I disastri di Di Maio

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Giggino Di Maio, anziché giocare a guardie e ladri con la Lega, dovrebbe occuparsi di come stanno andando a ‘sbattere’ alcune strategiche aziende, a cominciare da Tim, passando poi per Rai e Alitalia.

In Tim, l’improvvido Ministro dello Sviluppo Economico assiste, senza colpo ferire, alla imbarazzante disputa tra i due principali azionisti, Vivendi e Fondo Elliott, con Cassa Depositi e Prestiti che dovrebbe prendere un’iniziativa per favorire lo sviluppo della Rete, soprattutto ora che gli americani di Elliot hanno deciso di abbandonare la partita. E con il capo azienda, Amos Genish, che trascorre poche ore nel suo ufficio romano, preso com’è dalle sue vecchie passioni imprenditoriali brasiliane.

Sulla Rai, invece, si è passati dalla tradizionale farsa della lottizzazione alla pura follia: manca un piano strategico sui contenuti, non si parla, come era stato promesso, di sviluppo di una cultura digitale, il nuovo presidente e l’AD già si fanno i dispetti senza essere neppure riusciti a dire un solo concetto intelligente.

Per Alitalia, con uno dei commissari come Luigi Gubitosi sempre pronto a saltare da un posto all’altro lasciando rovine dietro di sé, il rilancio dovrebbe passare attraverso un’acquisizione da parte di Ferrovie, presentato come un modello industriale che non esiste in nessuna parte del mondo, se si eccettua un esperimento fallito in Canada, e che verrà considerato aiuto di Stato da Bruxelles pronta a sanzionare. Il conto salato lo pagheranno i contribuenti.

Ma il disastro di Giggino, consapevole o a sua insaputa, va pure oltre. Con il continuo coinvolgimento delle partecipate di Stato nella Legge di bilancio, rischia di trasformare anche quelle più solide, come Eni, Poste e Fincantieri, in enormi “carrozzoni”. Tra piani di investimento più o meno efficienti e assunzioni a iosa per spingere il Pil e i numeri sull’occupazione, passando per le ridicole intimidazioni a tagliare le pubblicità ai giornali sgraditi, il pericolo è di danneggiarle, con conseguente caduta dei titoli in Borsa. D’altronde l’approccio non è distante da quello immaginato nel Contratto di governo, che mira a trasformare Cassa Depositi e Prestiti in banca pubblica per gli investimenti.

C’è solo da sperare che Salvini torni con i piedi per terra, mandi a quel paese questi suoi improvvisati compagni di strada, da Conte a Toninelli, e crei le condizioni per andare al più presto a votare e dimostrare che la concretezza avuta sui temi dell’immigrazione può essere estesa a più campi. Altrimenti aspettiamoci la Troika. Che forse non sarebbe neppure la soluzione peggiore, come il commissario Moscovici ha spiegato nei suoi colloqui romani, anche con il Presidente Mattarella.

Luigi Bisignani, Il Tempo 21 ottobre 2018