Pur di riconoscersi nella narrazione contraffattoria del 25 Aprile il governo rossogiallo ha autorizzato l’Associazione nazionale partigiani d’Italia a partecipare alle celebrazioni per il 75esimo anniversario della Liberazione in deroga al lockdown. Nonostante la dottrina comunista sia ormai irrancidita e in uno stato di putrefazione, ancora oggi alcuni suoi residuali epigoni pretendono di leggere la storia con gli occhiali graduati dal dispotismo ideologico, imponendo la versione di una libertà riconquistata con l’esclusivo contributo dei partigiani. Quale anelito di autentica libertà potevano inalare coloro che erano subordinati al liberticida regime sovietico?
Sul 25 aprile volteggiano rapaci parassitici, gli hooligans dell’antifascismo che antagonizzano con un fantasma, appropriandosi, pur di suffragare il loro autoritratto democratico, della genesi della democrazia italiana e ostracizzando il tributo di sangue degli alleati anglo-americani. Sulle celebrazioni della Liberazione ha attecchito un monopolio fazioso che le ha impedito di elevarsi a momento di pacificazione tra gli eredi e i posteri del fascismo e dell’antifascismo.
Il 25 aprile è diventata una data divisiva sia per il resoconto omissivo della sua rievocazione sia per la prerogativa settaria che aleggia nella ricorrenza che rivela una sorta di prelazione, un infondato riconoscimento ad essere preferiti, rispetto ad altri, nel tirocinio democratico. Cosicché, la Liberazione è diventata il balsamo eternizzante di una spavalderia etica convenzionalista, ma diventa ardito riconoscerle una matrice nazionale di memoria condivisa considerando che il suo principale accaparratore simbolico, il partito comunista, avallò le violenze annessionistiche della Jugoslavia titina sulla Venezia Giulia e su Trieste. Quale sentimento patriottico possono emanare gli eredi del partito comunista che si rese protagonista di pratiche epurative e sommarie scatenate nel Paese e dell’asservimento ideologico allo stalinismo nella sua massima espressione di negazione della libertà e della democrazia?
Non si vuole minimizzare il valore della conquista democratica che rappresenta la radice da cui è germogliato il godimento della libertà per il merito preminente degli anglo-americani e dell’adesione al Patto Atlantico, ma l’appropriazione indebita della data simbolica da parte di una cultura che si dimostrò subalterna al regime sovietico ne mette in evidenza l’abuso del monopolio celebrativo. L’Anpi che il governo ha autorizzato a “violare” la quarantena, riconoscendogli un privilegio escluso a milioni di cittadini a cui è stata negata l’Eucarestia il giorno di Pasqua e altri migliaia non hanno potuto concedere l’estremo saluto ai propri cari periti per mano del virus cinese, ancora oggi manifesta pulsione negazioniste sulle Foibe e sugli atroci crimini compiuti dai partigiani a guerra conclusa contro i fascisti o presunti tali e gli antifascisti non comunisti.
Evidenziare il carattere divisivo della commemorazione ad usum Delphini non significa cedere ad un’anacronistica apologia di fascismo ma esercitare una “resistenza” etica che non si lascia attrarre dal mulinello del travisamento e della distorsione storica. L’Italia non si è liberata con l’autonomia delle sue forze e il merito dell’emancipazione non può essere ricondotto alle forze comuniste.
Per sentirci tutti figli del 25 aprile la verità storica andrebbe onorata nella sua integrità, mentre il panegirico selettivo delle vicende introduttive della democrazia è espressione dell’egolatria storica di un relitto ideologico. La libertà è un bene che appartiene a tutti, ma questo 25 Aprile ci ricorda che qualcuno è più libero di altri.
Andrea Amata, 25 aprile 2020