Trova la differenza: c’è un paese dove qualcuno si scervella (reddito di cittadinanza e dintorni) per incoraggiare i ragazzi a restare sul divano, e ce n’è un altro dove invece il governo spinge affinché i giovani inizino a lavorare subito, anche mentre stanno studiando.
Ovviamente in Italia non se n’è accorto nessuno, ma tre giorni fa, sul Telegraph, l’autorevole quotidiano inglese di profilo conservatore, thatcheriano e liberale, la ministra inglese per il lavoro e le pensioni, Esther McVey, ha lanciato quello che nello stesso tempo è un allarme e un appello.
L’allarme deriva dai dati del Regno Unito, resi noti dall’esponente del governo: dal 1997 a oggi, il numero dei 16enni e del 17enni che fanno un lavoretto part-time si è più che dimezzato, dal 42 al 18%.
Secondo la ministra, invece, i lavoretti estivi offrono a ragazze e ragazzi capacità essenziali, che potranno renderli più impiegabili e meglio pagati in futuro, quando saranno più grandi. Tra le capacità evocate dalla McVey, ci sono l’attitudine a stare in pubblico e a soddisfare i clienti, a risolvere concretamente problemi, a gestire meglio il proprio tempo e le priorità della giornata.
Attualmente, in Uk, sono più le ragazze (20%) che i ragazzi (15%) a combinare studio e lavoro: in genere, lo fanno nel commercio, nella ristorazione, in altre piccole e medie imprese. Per paradosso, invece, sono spesso le scuole e le università a scoraggiare i lavoretti part-time, presentandoli ai ragazzi come attività competitive con lo studio. Laddove invece proprio l’alto costo degli istituti è spesso un ulteriore problema per le famiglie.
La ministra McVey ha concluso il suo appello sul Telegraph segnalando che, sul sito governativo che registra e pubblica le offerte di lavoro, ce ne sono circa 20mila di questo tipo: lavoretti estivi adattissimi per i giovani. Quando un’iniziativa del genere anche in Italia?
Daniele Capezzone, 30 luglio 2018