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I giovani schifano il lavoro se non è un posto fisso

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Se tre anni di contratto vi sembrano pochi, rischia di tornare buona la tanto contestata uscita di Elsa Fornero a proposito dei giovani: “Choosy”. Con la professoressa Fornero ho avuto molte divergenze, si sa, ma questo non mi impedisce di riconoscere le ragioni, quando le vedo. C’è chi ha imputato alla durata del contratto – tre anni appunto – lo scarso successo al concorso Sud per 2800 posti nelle Pubbliche Amministrazioni delle Regioni del Mezzogiorno. Come dire: se alla Pa togliete il “posto a vita” non vale più la pena.

Un’interpretazione che conferma i dati di un recente sondaggio, curato da Proger Index Research, secondo cui i giovani tra i 25 e i 35 anni pensano a un’occupazione nella pubblica amministrazione solo per avere un “posto sicuro” (quasi il 60% degli intervistati). Appena il 27,6% crede che lavorare per la Pa possa offrire una carriera interessante. Uno stereotipo dell’abbinata lavoro-Pa che sembra resistere nel tempo, ben oltre le ottime intenzioni del ministro Renato Brunetta, che vorrebbe arruolare nella Pubblica amministrazione i “migliori” talenti del Paese. Soprattutto in vista dei grandi impegni per l’attuazione del Pnrr: il Piano nazionale di ripresa e di resilienza deve camminare sulle gambe di una amministrazione pubblica efficiente, non c’è dubbio.

Troppo esigenti o troppo schizzinosi, sta di fatto che i giovani di oggi non avvertono nell’impiego nella Pubblica Amministrazione un obiettivo appetibile. Solo il 20% (sempre secondo l’indagine di Proger Index Research) ha preso in considerazione di lavorare per un ente pubblico, che sia il Comune, la Regione o un’Amministrazione centrale dello Stato.

Il dilemma di Brunetta non è di poco conto. La selezione per titoli si è rivelata severa: pochissimi sembrano poter offrire le competenze richieste. Tra questi pochissimi, poi, solo due terzi si sono presentati alla prova. Il problema è difficile. Che il “posto” nella Pubblica amministrazione sia percepito più o meno come quello dipinto da Checco Zalone, rischia di essere ancora vero. Ne abbiamo avuto conferma anche nel concorsone per aspiranti dipendenti del Comune di Roma. Solo l’1,8% degli iscritti ha superato il quiz, cadendo soprattutto sulle poche nozioni richieste di inglese e di tecnologia. Ci si prova, più o meno come con un gratta e vinci: lavorare nella Pa, o almeno proporsi di farlo, non richiede preparazione. Così almeno sembra il sentimento di quel 98,2% di coloro che si è presentato forse con un po’ troppa improvvisazione.

In questo contesto, per quanto riguarda il concorso Sud, la strada migliore è riaprire le porte anche agli esclusi per titoli? Con il rischio di acquisire collaboratori non in linea con le necessità delle Pubbliche amministrazioni? Brunetta conferma di essere mosso dalle migliori intenzioni, e dopo il flop del concorso Sud ha proposto «una riflessione tutti insieme» su «come reclutare, come valutare, tenendo insieme qualità ma anche necessità di capitale umano per i nostri enti locali». Bisogna superare l’impasse. Certo. E non credo che il problema possa essere l’impiego a termine. Tre anni di lavoro sono tanti, soprattutto se in quei tre anni si può intravvedere un aumento di competenze e di esperienze spendibili. Insomma, se tre anni fanno curriculum, oltre che reddito, sono un investimento sensato. Altrimenti, no grazie.

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