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I liberal gretini sono i nuovi sovietici

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Emanuele Felice è un economista diventato ordinario da qualche mese a Pescara, ma che già da un po’ di tempo è stato “lanciato” e fatto conoscere al grosso pubblico da Repubblica. È un meccanismo sperimentato, che il quotidiano fondato da Scalfari ha sempre usato anche se oggi risulta notevolmente depotenziato (i tempi un po’ son cambiati, per fortuna!): si sceglie un intellettuale, lo si pompa mediaticamente, lo si fa divenire noto al grande pubblico della cultura mainstream e in cambio gli si chiede fedeltà e adesione completa alle idee e alla linea politica del giornale.

Chi osa contraddire, cioè in sostanza esercitare quello spirito critico che dovrebbe sempre accompagnare l’uomo di cultura, viene semplicemente espulso dal gruppo degli “amici” ed “oscurato” (è il caso di Piergiorgio Odifreddi, che osò criticare nientedimeno il fondatore fulminato sulla via di Bergoglio!). Felice ha scritto sull’ultimo numero de L’Espresso un commento dal titolo: “Hanno tradito il pensiero liberale”, che è un po’ il mantra di tutti coloro che per liberalismo a un certo punto hanno inteso proprio il contrario di quel che esso è: l’ideologia, alquanto autoritaria e perciò illiberale, del politically correct.

I “traditori” sono, per Felice, i “neoliberali” (fa i nomi di Hayek, Reagan e Thatcher), il cui pensiero sarebbe in crisi perché “alle prese con tre fallimenti storici: la questione ambientale, l’aumento delle diseguaglianze nel mondo avanzato, il fatto che i nuovi giganti economici, a cominciare dalla Cina, non sembrano interessati a quell’evoluzione democratica da loro auspicata”. Ora, lasciamo stare gli ultimi due punti, che pure meriterebbero di essere affrontati con più cognizione di causa e con un più raffinato armamentario concettuale rispetto a quello messo in campo da Felice. E concentriamoci un attimo sulla sfida ambientale che avrebbe messo definitivamente in crisi il pensiero neo-liberale.

Essa, come è noto, non assume per molti autorevoli scienziati quei caratteri catastrofisti a cui ci ha abituato l’ideologia green e che la sinistra mondiale, alla ricerca di surrogati delle vecchie ideologie sconfessate dalla storia, ha fatto propri nell’ottica anticapitalista che da sempre gli è propria.. Basti pensare solo al fatto che la nostra è l’epoca meno inquinata della storia umana, e quella in cui, anche per questo motivo, la vita media della popolazione è aumentata enormemente (servizi igienici in tutte le case, eliminazione delle discariche a cielo aperto, impianti di aspirazione dei fumi, ecc. ecc.). Ma tant’è! E mettiamo pure per ipotesi, o per assurdo, che Felice abbia ragione e che il problema sia reale e grave e che, in questo caso, la sinistra, come scrive Massimo Cacciari poche pagine prima sullo stesso numero de L’Espresso non “cincischi ideologicamente sul nesso sviluppo economico-ambiente, all’inseguimento di cosmopolitiche montature mediatiche”.

Cosa fare? Quali soluzioni adottare? Felice non ha dubbi: problema nuovo, ricetta vecchia. E cioè statalismo e dirigismo spinti, affidati a coloro che sanno più degli altri e che paternalisticamente lavorano per il bene di ognuno di noi. “Per evitare che la crescita economica metta a repentaglio la tenuta dell’ecosistema più di quanto non abbia già fatto, e quindi la stessa vita del Pianeta (cioè la nostra stessa vita), è necessario – scrive l’economista abruzzese – l’intervento pubblico: una politica che sappia indirizzare le imprese verso un progresso tecnologico a basso impatto ambientale e anche orientare le scelte dei consumatori”.

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