Cultura, tv e spettacoli

I moralisti che si moralizzano: che pena lo schiaffo di Zerocalcare a Chiara Valerio

Intellettuali di sinistra in crisi per l’invito di Leonardo Caffo, accusato di maltrattamenti, alla fiera “Più libri più liberi”

Zerocalcare Valerio © pixabay tramite Canva.com

Sono sempre un po’ tra il penoso e il ridicolo le storie degli amichetti, delle parrocchiette della sinistra militante – ma quale non la è? – di pensiero debole, di talento debole, ma di ambizioni forti e sfrontate: sì, certo, la rivoluzione che viaggia per i sentieri culturali, le mille declinazioni dell’anticapitalismo occidentale declinate in transumanismo, antispecismo, ma, prima di tutto, il soldo, prima l’invito, la promozione, il gettone. Sono sempre un po’ meste queste faccende, sanno di tofu e di sudore assai poco proletario e ancor meno di pensiero, diciamo la traspirazione dell’ambizione, dello scambio di favori. Però queste piccole storie di pessimo gusto, queste minima immoralia fin troppo consumate nascondono perline di purissimo valore grottesco, sono notiziole, noterelle in un guscio di inutilità.

Sulla vicenda di Chiara Valerio, contigua alla Schlein, a quando ‘sta benedetta candidatura?, che invita il tuttologo Leonardo Caffo, suo contiguo, stesso giro dei giovani turchi piddini, la notizia è che lo Zerocalcare, quello che va in giro con Ilaria Salis, non sa assolutamente scrivere, non sa esprimersi: fortuna sua si è dato ad altro, ai disegni animati militanti e così è diventato ricco, rivoluzionario ma attento agli investimenti. Il Calcare si è sentito in dovere non solo di disertare l’incontro romano sull’editoria militante, dall’ormai logoro titolo “Più libri più liberi”, di combinare tra compagni, tra Chiara Valerio, scrittora dallo stile cripitico, a metà tra la Stele di Rosetta e una scena di Cochi e Renato, e il giovin filosofo Leonardo Caffo, uno che, fra i mille impegni, si è ritrovato addosso quello in tribunale, denunciato da una ex compagna per maltrattamenti: ah, questi apprendisti filosofi della qualunque, vanesi, pieni di sé e di inviti nei salottini politicosi, che meno hanno da dire e più fanno presa sulle signore borghesi, annoiate, magari di tutt’altra parte politica, ma appagate della considerazione, degli inviti in società e chissà che altro.

Ma qui si divaga. La notizia vera, l’unica, qui dentro è che il Calcare, ordunque, tenta di motivare il suo gran rifiuto con un allucinante pippone su Instagram, frammentato in capitoletti, dove spiccano passaggi imperdibili, implodenti, insomma sì, parliamo di Caffo, dell’amica Chiara, dell’inopportunità di invitare un accusato di maltrattamenti a una camarilla dedicata alla sventurata Giulia Cecchettin, però parliamo prima di me, dei miei rovelli, dei miei tarli, dei morsi e rimorsi di coscienza. Una sbrodolata alluvionale per giustificarsi scoprendo l’acqua calda dell’ammissione virtuosa, “è innegabile che per tanti, me compreso, è molto più facile parlare di fascisti che di questioni di genere, perché i fascisti aprono molte meno contraddizioni tra chi ci sta vicino e pure in noi stessi”; quanto a dire il preciso riconoscimento dell’opportunismo strategico, dell’ipocrisia elevata a sistema. “Per non lasciare non detti”, proprio così articola l’eterno giovane con felpa da Topolino mannaro, forse una allegoria del capitalismo pop, Calcare precisa che questo “uomo” lui “non sapeva neanche chi cazzo fosse”; e qui affiora come un disprezzo, come un sano razzismo culturale, sì, tu sarai anche un apprendista filosofo ma io con le mie strip sbanco e mi fermano anche sul Frecciarossa; provati un po’ tu a dire che non mi conosci. Sul resto della prosa calcarea, perdonateci, glissiamo perché tra lo spreco di virgolette e il “pensare la politica in termini di vertenze”, (Caffo o Fusaro non avrebbero saputo escogitare di peggio), sul “vertenzializzare il grumo di emozioni”, rischiamo l’occlusione calcarea, i diverticoli della mente. Un bel tacer non fu mai scritto, proprio.

Qui, per tornare a bomba, la sostanza sta nel vuoto, nell’egolatrismo dei protagonisti, eterni giovani della sinistra militante che, non avendo granché da dire, parlano di sé. Nella assoluta, totale, estrema convinzione che sia imprescindibile, che, per dirla alla Calcare, freghi un cazzo a qualcuno. Sconcertante, allarmante infantilismo di genere, di specie, quello che vi pare, ma questi poi sarebbero i faretti del pensiero, gli spot del pensiero che erediteranno la terra, gli incaricati di varcare le colonne d’Ercole della nuova cultura, del woke paranoide? Qui si parla di noi, dei nostri rapporti, dei nostri ritiri, qui si fa la storia, il resto è contorno, è cornice. La solita storia degli influencer, solo diversamente griffati. Il resto è pretesto.

Molti hanno osservato che la contraddizione, marxisticamente, è strutturale, è in sé: Caffo non è stato condannato e neppure giudicato ancora, insomma la mettono sul garantismo, che però a detta del giudice Calcare in questo caso non rileva: si porrebbe una questione sterminata sui limiti del garantismo raffrontati al buon senso talora, se non all’evidenza, ma transeat: a noi basta cogliere una curiosa prospettiva, quella del tuttologo filosofante che dal transumano e il postumano rischia di ritrovarsi nel disumano: lo scopriremo solo vivendo, a piazèr del magistrato: non ci riguarda, mentre ci pertiene lo sconfinato egocentrismo di questi. La Caffonata di Calcare è uno velo strappato sull’amichettismo che tuttavia, niente paura, resisterà, con la forza dei soldini e l’improntitudine che conosciamo: basterà far finta di niente, concentrarsi sulle prossime occasioni, stringersi in falange sull’eventuale reprobo, sì, avrà anche menato le mani, chi lo sa, comunque resta uno di noi, resta un buono, per autodefinizione; tutto di personale, a partire dagli affari: quel che preme all’autore di novelle animate militanti, è far sapere che “Bao dal canto suo cancellerà tutti i panel della casa editrice in segno di discontinuità, mentre rimarrà attivo lo stand e i firmacopie (sic) degli autori – me compreso”.

È Zerocalcare o Chiara Ferragni? Come preferite, l’approccio è il medesimo, le agenzie di comunicazione sono un po’ tutte uguali e così i prodotti, che coincidono più con le facce che con le opere. Sì, scanniamoci pure sull’opportunità o l’opportunismo di invitare un amichetto pensatore in sospetto di maltrattamenti su una donna a una fiera contro i maltrattamenti sulle donne, ma sia chiaro: la faccenda, la sostanza è sul nostro scannarci, non sulla situazione, sul nostro dividerci di un giorno, sapendo che tutto poi torna al magma primordiale della camarilla, dell’amichettismo, quanto a dire la resilienza del potere. Perché questi, comunque la si voglia vedere, hanno potere e tutto in loro, ogni pippone, ogni apparizione, atteggiamento, ogni dubbio procedurale, è volto a dimostrarlo, a confermarlo. È tutta strategia, tutta sovrastruttura. E se pure gli avversari, i reazionari, i maschilisti bianchi tossici lo fanno notare, ce n’est past grave, anzi: è tutta pubblicità. Che è l’anima del commercio e pure dell’ideologia.

Calcare è il messaggio, Valerio è il messaggio: noi facciamo quello che ci pare, senza faccia e senza vergogna, anche le contraddizioni più imbarazzanti senza il minimo imbarazzo, anche ostentare scrupoli divisori, tanto è una recita e la facciamo perché possiamo farla. Il nostro garantismo è questo, è più uguale degli altri, provateci voi e vi facciamo saltare i ministri come tappi di spumante. Tutto il resto è noia, è un fanciullone ultraborghese in felpa di Topolino dark che si specchia nel consenso narcisistico, “do per scontato che per qualcuno non sarà abbastanza radicale”, che è come dire, non si può tutti i giorni marciare con Ilaria Salis a caccia di fasci, ogni tanto fatemi pur respirare e non dimenticate il firmacopie.

Max Del Papa, 28 novembre 2024

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