Solo su una roba come Coronavirus, potevano sperare, i nemici del Natale. Quello più puro e accorato, dei bambini e delle trepidanti attese, del calore e del colore, di una tradizione genuina lungo i rivoli di ogni famiglia, di ogni portone e pianerottolo. Costoro, da anni, le provavano tutte per grattar via la magia e il sentimento dal momento più bello dell’anno. Tentando di coprirlo con il drappo di quelle paroline magiche che in realtà sono il segno della più subdola intolleranza: “uguaglianza”, “inclusione”, “accoglienza”. Costruendo, man mano che ci si avvicinava al giorno, un castello di brutture.
“Bambino Perù”
Quella scuola che, ostentando la neolingua progressista, sostituiva una tradizionale festa di Natale a scuola con una “Festa d’Inverno” depurata ovviamente delle canzoni tradizionali per sostituirle con le filastrocche di Gianni Rodari. Accadde a Rozzano. Così come a Rimini, dove durante il tradizionale saggio dei bambini, le canzoni tradizionali furono sostituite da dei motivi africani. Oppure quell’insegnante che, con zelo chirurgico, intervenne con le pinzette su una canzone di Natale da far intonare ai suoi alunni, pensionando la parola “Bambino Gesù” per un insignificante “Bambino Perù”. È accaduto anche questo, davvero, a Pordenone. A Milano, invece, in una scuola si organizzò “La grande Festa delle buone feste”.
Iniziative varie, che punteggiavano qui e là la Penisola e segnate dallo stesso filo conduttore: non offendere i piccoli immigrati, evitare che qualcuno si sentisse escluso. Costruzione demagogica del tutto senza senso, visto che il Natale non può turbare nessuno. Perché è il trionfo dell’amore, di un bimbo che nasce, sia che si professi un’altra religione, sia che non se ne professi alcuna. Ed è proprio qui, il paradosso. Per i falsi profeti della bontà universale, una festa che la invoca per davvero è diventata una sorta di spettro da occultare.
Presepi contro Salvini
A questi, poi, si agganciavano quanti, pur credenti, del Natale hanno fatto strame per rivendicazione ideologica. È il caso ad esempio di quei sacerdoti egangé di certa sinistra che, per fare un esempio, annunciavano di non voler allestire i presepi per protestare contro Salvini. Per non parlare dei moralisti da strenna. Quelli che spuntano come funghi al primo bagliore di addobbo natalizio, e col ditino puntato concionano contro il consumismo rovina dell’umanità, lanciando dardi di colpevolezza a chi si macchia del grande peccato di fare un dono a chi ama.
Covid, alleato dei nemici della Festa
Dunque, il Covid, forse, tra qualche settimana porterà tutti costoro in trionfo. Si rivelerà la loro bomba H. Perché nell’anno in cui quella contaminazione indistinguibile tra prevenzione e dogmatismo sanitario slega i rapporti umani, segrega, separa, intimidisce non ci saranno recite a scuola. Non ci saranno feste a scuola aspettando il suono della campanella prima delle due settimane di riposo. Non ci sarà modo di cantare. Non ci saranno polemiche, certo. Non ci sarà nessuna lotta da fare. Mentre dilaga qualche virologo ex sessantottino che con estrema disinvoltura teorizzano un Natale su Skype. O un premier riconvertito a predicatore di un raccoglimento in preghiera da fare in solitudine, perché se si è in troppi “non viene bene”.