Di una “svolta” europeistica della Lega parlano un po’ tutti, a torto (molto) e a ragione (poca). E lo fanno a manca e – ahimè! – anche a dritta. Che poi, in verità, la destra sia succube spesse volte dell’avversario, e faccia proprio il terreno di gioco che lui ha stabilito, è purtroppo la realtà. Sarebbe invece opportuno, a mio avviso, che la destra non si metta, su questa e altre questioni, sulla difensiva spiegando, giustificando, distinguendo. Occorre invece che essa provi a cambiare narrazione, come oggi si dice, a prendere in altre parole in mano le redini del gioco e a imporre il proprio discorso.
Invertire il ragionamento
La mia proposta è semplice, quasi banale: facciamo nostra la bandiera dell’europeismo e ragioniamo non nell’ottica della negazione, che certo è la via più facile e comoda, ma in quella dell’affermazione. Occorrerebbe cioè cominciare a dire che siamo noi, scettici e critici verso molti aspetti della costruzione europea, cioè verso l’Unione così come si è venuta a delineare da Maastricht in poi, i veri europeisti, quelli che amano l’Europa e hanno a cuore le sorti future del vecchio continente. E che se essi insistono nella loro critica è solo perché temono che, proseguendo certe fallimentari politiche, l’Europa vada a schiantarsi contro un muro, vado incontro a clamorosa e inconsapevole deflagrazione. Cadute le velleità di potenza, essa finirebbe per dare più spazio e forza proprio alle potenze più lontane dai nostri valori.
Vaccini, Austria e Danimarca faranno da sé
Una Europa come quella attuale, se ne sia consapevoli o no, è sempre a forte rischio di implosione. Il fallimento dell’Unione sui vaccini ne è la prova manifesta in questi giorni. Se quella sul loro approvvigionamento e la loro somministrazione era infatti a tutti gli effetti una guerra, postmoderna ma sempre guerra, l’Europa l’ha persa alla grande; e se l’Unione voleva cementare attraverso di essa l’unione fra i popoli e gli Stati che la compongono, l’effetto sortito è l’opposto: il “liberi tutti” seguirà ineluttabilmente alla decisione appena presa da Austria e Danimarca di far da sé.
Certo, molte “anime belle” penseranno che si sia trattato solo di un fallimento gestionale e che con un management migliore e una gestione più accorta le cose sarebbero andate meglio. Non credo sia così, o almeno penso che, anche con la migliore gestione possibile, incidenti di questo tipo per l’Europa saranno sempre dietro l’angolo se non si cambia prospettiva. È evidente, infatti, che, nel mondo di oggi, l’efficienza di un sistema politico si misura anche dalla rapidità con cui esso sa rispondere alle sfide e alle emergenze di un mondo sempre più interconnesso. E questa rapidità può essere garantita in soli due modi: a. o con un accentramento autoritario del potere, che è la via seguita dai regimi non liberali, quelli lontani mille miglia dai nostri valori e dalla nostra civiltà; b. o da un sistema a rete che esalti e metta anche in competizione, ma in vista di un fine comune, le forze plurali che costituiscono la società. Che mai come in Europa è composita, e che proprio con questa sua specificità ha accompagnato tutti i nostri successi.
Ora, l’Europa non può che seguire questa seconda via. Non è perciò a un super Stato ove la diversità è governata dall’alto con una forte burocrazia e con una legislazione pervasiva, non è da una società iper-regolamentata (e perciò standardizzata) che ci si può attendere non solo libertà ma anche efficienza, flessibilità, solidarietà.