Negli anni di Breznev formalmente i gulag non esistevano più. Erano stati però sostituiti da ospedali psichiatrici in cui venivano reclusi gli oppositori politici del regime o meglio quelli semplicemente sospettati di esserlo – gli ultimi veri oppositori erano finiti sterminati negli anni Trenta da Stalin. Poiché secondo la propaganda l’Urss era il regno della felicità, chiunque non fosse soddisfatto doveva per forza essere psichicamente malato. Dall’avversario politico come criminale, tipico degli anni dello stalinismo, si era passati all’avversario politico come matto da internare.
Breznev è morto da un pezzo, l’Urss e il sistema comunista non ci sono più, ma la tendenza a trattare chi contesta l’esistente come un folle non è sparita, anzi ha abbracciato tutto l’Occidente. Da un certo punto di vista, è comprensibile: chiamare folle il nemico ci esula dal chiederci quali siano le motivazioni che lo muovono, e se nel sistema esistente per caso qualcosa non funzioni: insomma priva di politicità la questione.
Per questo abbiamo visto negli anni precedenti, e anche oggi ogni volta la cronaca li ripresenta, terroristi islamisti trattati da folli, lupi solitari, invasati, gente disturbata, con infanzia difficile. Si nega loro la dignità di rappresentare una posizione religiosa-politica e al tempo stesso però si evita di pensare che nelle nostre società occidentali vi sia un potenziale esercito di martiri di Allah.
Ma oggi per il mainstream globalista e per la sua voce, il Pum (Partito unico dei media) il pericolo non è certo l’Islam, figuriamoci. Sono i populisti. Che sono più difficili da riconoscere degli islamici. Ma per il Pum non c’è problema: populisti sono tutti coloro che votano o sostengono i partiti o i movimenti che il Pum stesso chiama «populisti». E ci dice anche che i populisti sarebbero psichicamente turbati e infelici.
Possibile che più del 50% degli italiani (sommando le intenzioni di voto a Lega e 5 stelle), più del 20% dei francesi (elettori Le Pen) la maggioranza degli inglesi (pro Brexit), il 15% dei tedeschi (Afd), la maggioranza relativa di ungheresi, polacchi e soprattutto americani (Trump essendo populista) sarebbero dei pazzi infelici?
Non ha timore a sfidare il ridicolo, come spesso accade, La Stampa, che in un pezzo di oggi, 2 aprile (quindi non sospettabile di essere un pesce) di Alberto Mattioli, spiega che i partiti populisti sfondano laddove gli indici di misurazione delle felicità sono bassi. Quindi niente populisti in Finlandia, in Danimarca, in Norvegia, i tre paesi più felici.
Peccato che il pezzo non abbia alcun senso dal punto di vista fattuale. In tutti e tre paesi citati, i partiti che il Pum definirebbe populisti sono infatti al governo o nella maggioranza, anche perché in Danimarca e in Norvegia i moderni populisti (di destra) sono nati, negli anni Settanta, quando Salvini andava all’asilo e Marine le Pen alle elementari. Ma poi è vero che i paesi nordici sarebbero felici? A giudicare dagli indici di suicidi e di consumo di alcol, non ci giureremmo.
Ma che importa della realtà? Ormai per il blocco globalista mainstream basta sparare il titolo menzogna «Nei paesi meno felici gli elettori votano per i partiti populisti».
Che fare per curarli? In attesa di predisporre adeguate cliniche, come gli ospedali di Breznev, è meglio togliere loro internet. Lo suggeriscono un altro giornalista della Stampa, Christian Rocca nel libro Chiudete internet, e lo psichiatra Vittorino Andreoli, convinto che «gli utenti dei social sono persone frustrate» e che Trump andrebbe affrontato con il «camice».
Certo togliere internet ai populisti, come sarebbe bello: così le fake news spacciate quotidianamente dalla Stampa e dagli altri organi del Pum potrebbero dispiegarsi senza contraddittorio. Vuoi mettere? Ma il tema della volontà censoria è serio, la tentazione è forte. Come spiega il sociologo Mathieu Bock-Coté nel suo ultimo libro, L’empire du politiquement correct, se il «politicamente corretto si rivela insufficiente, se la squalificazione mediatica e politica della dissidenza conservatrice non basta più… diventa possibile passare alla repressione formale del disaccordo».
Cioè ai processi di fronte ai giudici per «razzismo»,«islamofobia», «xenofobia» e alle leggi ad hoc contro la rete e contro i social, che sta preparando Macron. Negli altri paesi sta accadendo, e da tempo. E ora c’è qualcuno che anche qui vorrebbe toglierci la libertà, naturalmente per il nostro bene: «per combattere i populisti»
Marco Gervasoni, 2 aprile 2019