Speciale zuppa di Porro internazionale. Grazie a un nostro amico analista che vuole mantenere l’anonimato, il commento degli articoli tratti dai giornali stranieri.
La direzione del Financial Times prende posizione con un duro editoriale a favore del fatto che John Bolton, l’antico superconservatore già ambasciatore americano all’Onu (incarico abbandonato perché inviso ai Democratici tornati a controllare il Senato e poco difeso da George Bush per il suo insopportabile temperamento), poi nominato National security advisor da Donald Trump e nuovamente licenziato per le sue intemperanze, possa testimoniare al Senato nel processo per l’impeachment del presidente americano.
Così scrive il giornale della City: “Should Republicans prevent Mr Bolton’s testimony, history will find them guilty of the gravest assault on America’s rule of law”. Se i repubblicani impedissero la testimonianza di Bolton, la storia li riterrebbe colpevoli del più grave assalto allo stato di diritto negli Stati Uniti. I toni esasperati del quotidiano storico della City rivelano come sia in atto uno scontro frontale tra chi ritiene sia necessario costruire un equilibrio internazionale tra nazioni, che sostenga poi le fondamentali istituzioni tecniche neutrali, e chi pensa che le istituzioni sovranazionali insieme a una giuridicizzazione della soluzione delle questioni politiche debbano man mano emarginare gli Stati nazionali e il connesso voto popolare.
Se non ci fosse uno scontro di questo tipo un quotidiano così attento alle differenze non trascurerebbe le ferite inferte allo stato di diritto per esempio con ben 17 “errori” dell’Fbi nelle indagini su persone coinvolte nella campagna elettorale del 2016 di Trump, né, per fare un altro esempio, sorvolerebbe sulla gestione dei Democratici del processo di impeachment di Trump alla Camera (tra l’altro evitando di interrogare lo stesso Bolton sulla base di considerazioni squisitamente politiche, altro che stato di diritto), non sorvolerebbe sulle argomentazioni pro Trump di uno dei più quotati esperti americani di diritto penale (e per di più liberal) come Alan Dershowitz che chiede di non sostituire la legge con processi politici.