Non c’è fretta. Per la riforma degli ammortizzatori sociali si può aspettare ancora un po’. La data del 31 luglio se l’era scritta in agenda, con diligenza, il ministro Andrea Orlando. A ridosso della scadenza ci ha ripensato. Solo i cretini non cambiano idea. Peccato che quello che poteva essere un punto d’orgoglio diventi una incertezza perenne. Quanti sono i datori di lavoro che hanno in scadenza la cassa integrazione per qualche loro dipendente? E quanti vorrebbero pianificare in queste settimane d’estate, con lo scrupolo del pater familias, la migliore organizzazione del lavoro dei loro collaboratori per autunno e approntare i bilanci delle proprie aziende?
Beh, devono mettersi il cuore in pace. Il ministro ci ha ripensato. E rimanda. La riforma degli ammortizzatori sociali è peraltro prevista dal Pnrr varato a fine aprile. Ma si sa, non c’è nessun termine perentorio per iniziare a fare i compiti. Meglio rimandare. Tanto non c’è sanzione da pagare se si rinviano le scelte. Peggio per imprenditori e lavoratori che galleggeranno ancora un po’ nel limbo della post-pandemia.
L’ipotesi più plausibile – come sostiene il Sole24 Ore – è che tutto venga imbarcato con i bagagli della legge di bilancio, luogo e momento ideale per negoziare dentro il governo e con le parti sociali. La merce di scambio non manca mai.
Il problema delle risorse e quello dell’estensione degli ammortizzatori anche alle imprese più piccole sembrano i nodi da sciogliere. Ma sarebbero da riannodare invece quelli che finalmente dovrebbero collegare le politiche passive (gli ammortizzatori sociali) con quelle attive. Queste ultime sono il grande problema dell’Italia, che continua ad accettare di essere la Cenerentola dei Centri per l’impiego in tutta Europa. Ma per Orlando non c’è Pnrr che tenga. Bisogna fare con calma, assicurarsi il consenso delle organizzazioni sindacali per non turbare gli equilibri ideologici di chi sembra definirsi l’ultimo ministro proletario in circolazione.
Non è passata inosservata l’intervista che Orlando ha rilasciato pochi giorni fa, rivendicando il suo pauperismo di ligure (spezzino) tentato dal mugugno, ma sedotto dall’esibizione di quarti di nobiltà proletaria. Con orgoglio si dice residente nella casa popolare che fu di suo nonno. Peccato che trascorra ormai quasi tutta la settimana in un prestigioso appartamento nel centro di Roma – si sa, i doveri istituzionali! – e che nella sua La Spezia possieda altri quattro fabbricati – secondo le notizie fornite dai giornali meno obbedienti al verbo di Orlando, e finora non smentiti – oltre (sempre citando fonti non smentite) a una villa in Messico e altri immobili conferiti in una società di affittacamere (bed&breakfast) sempre a La Spezia.
Insomma, il ministro proletario è così solido patrimonialmente, da non avvertire – buon per lui – le urgenze di chi lavora e di chi vorrebbe lavorare. Adelante Andrea, con juicio. Ma soprattutto senza fretta. Le riforme possono attendere.
Antonio Mastrapasqua, 28 luglio 2021