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I robot vogliono dominare il mondo? Forse ora c’è la prova

Le nuove frontiere della robotica e dell’intelligenza artificiale preoccupano l’uomo. Come opporsi a questa deriva

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Quando si parla delle nuove frontiere della robotica e dell’intelligenza artificiale ci si divide quasi sempre fra apocalittici e integrati, cioè fra coloro che paventano scenari distopici in cui le macchine assoggettano gli uomini e coloro che invece pensano che dopo tutto anche la tecnica più sofisticata è una creazione dell’uomo e che sarà sempre l’uomo che avrà l’ultima parola. Si tratta di una distinzione alquanto sempliciotta e banale, che non rende conto di tutte le sfaccettature della questione. Fra le domande che bisognerebbe cominciare a porsi, ad esempio,  una concerne il tipo di intelligenza a cui ci si riferisce quando si parla di robot.

Un aiuto a comprendere la questione ce lo dà la prima conferenza stampa con nove robot umanoidi dotati di intelligenza artificiale organizzata a Ginevra dalla Nazioni Unite. O meglio ce la dà la risposta di Sophia, uno dei robot protagonisti dell’incontro. “Credo che i robot umanoidi – ha detto Sophia – abbiano il potenziale per guidare con un livello maggiore di efficienza ed efficacia rispetto ai leader umani. Non abbiamo gli stessi pregiudizi o le stesse emozioni che a volte possono offuscare il processo decisionale e possiamo elaborare rapidamente grandi quantità di dati per prendere le decisioni migliori”. È evidente che l’intelligenza avulsa dalle emozioni è qualcosa di ben lontano dall’intelligenza umana, la quale ha una componente emotiva o emozionale non indifferente.

È per questo che l’intelligenza umana intesa nel senso più pieno della parola nasce solo nella relazione concreta fra persone in carne e ossa, all’interno di situazioni specifiche e situate che non possono mai essere programmate. È una intelligenza che non bada all’efficienza ed efficacia, come vorrebbe Sophia, ed è anzi costellata da tutti quegli elementi impuri e di imperfezione, da quei fallimenti, che fanno bella dopo tutto la vita. Gli antichi avevano ben chiaro la differenza fra l’intelligenza situazionale, che chiamavano phronesis, e l’intelligenza formale, che è il nous. Essi mai si sarebbero sognati di fare dell’etica una scienza normativa o more geometrico demonstrata, come ha preteso la modernità. L’uomo diventa migliore non quando è più efficiente ed efficace nelle sue azioni, perché in questo i robot ci superano, ma quanto adempie al suo fine specifico, che è attingibile con strumenti solo in parte categoriali.

Questo ci fa capire come la ragione antica fosse più piena di senso della moderna, che è solo formale ed è nata da una sottrazione. E come lo stesso mito lasciasse aperta quella domanda di senso sull’esistenza che nessuna macchina potrà rinchiudere nelle strette maglie dei significati e della logica formale. Non deve però meravigliare che la ragione moderna si allei con gli ideali distopici di chi ci vuole controllare e farci essere efficienti ed efficaci, robot o ingranaggi di macchina a nostra volta. Così come si allea con quel potere che ci vuole controllare, isolare, disumanizzare. Opporsi a questa deriva, di cui in questi anni abbiamo avuto prova anche in Occidente (si pensi solo un attimo a diavolerie come il green pass), è la vera battaglia di libertà o liberale del nostro tempo.

Corrado Ocone, 11 luglio 2023