Quella che doveva essere una guerra lampo, si è trasformata ufficialmente in una guerra di logoramento. Al quinto mese dall’inizio dei combattimenti, la capitale ucraina ritorna sotto il mirino degli attacchi russi. In prima mattinata, infatti, quattordici missili sono stati sganciati su Kiev, distruggendo interi centri residenziali e provocando la morte di un civile.
Reattore nucleare danneggiato
Nella notte, nucleo del conflitto è stata anche Kharkiv. Inizialmente conquistata dai russi, per poi essere abbandonata per concentrarsi sulla presa del Donbass, la città è stata al centro di numerosi bombardamenti, che hanno causato il danneggiamento di un reattore nucleare, oltre al rischio di comportare “gravi effetti delle radiazioni ed alla contaminazione delle aree circostanti”, così come affermato dall’Ispettorato statale per la regolamentazione nucleare.
Sempre nei pressi di Kharkiv, nel frattempo, la cittadina di Severodonetsk pare assomigliare sempre più alla devastata Mariupol. In entrambe, più del 90 per cento delle infrastruttura è stato rasato al suolo, portando il presidente Zelensky ad ammettere come “la situazione della guerra ora sia difficile”, ma promettendo di riconquistare tutto il territorio ucraino sottratto, che ad oggi sfora la percentuale del 20 per cento.
Cos’ha in mente Putin
Ma perché, dopo settimane di inattività, Putin ha deciso di riconcentrarsi su Kiev? L’obiettivo russo non doveva essere solo il controllo del Donbass e del sud del Paese? Possiamo elencare almeno due ragioni principali.
La prima: il Cremlino vuole mantenere alta la tensione con il governo ucraino. I bombardamenti sono il messaggio chiaro di come la guerra non rimanga a livello locale – e, quindi, non interessando il centro e l’ovest del Paese, dove alcune città, come Leopoli, non hanno quasi conosciuto il conflitto – ma a livello nazionale. Il 24 febbraio, il primo giorno di guerra, l’esercito invasore si è spinto fino alle porte di Kiev, per poi ritirarsi progressivamente. I nuovi bombardamenti ricordano il vero e primario obiettivo putiniano: riprendersi un territorio che non rappresenta uno Stato sovrano, autonomo, indipendente, ma una regione dell’Unione Sovietica, parte inscindibile della cultura e della tradizione russa.
L’avviso russo all’Occidente
La seconda: l’obiettivo Kiev è un avviso all’Occidente. Proprio ieri, infatti, il governo Zelensky ha ricevuto il nuovo sistema americano di lancio multiplo Himars (High mobility artillery rocket system), capace di sferrare simultaneamente più missili con sistema satellitare di precisione. L’aiuto si affianca anche a quello del Regno Unito, dove Boris Johnson rimane il primo leader atlantico a sostenere la resistenza ucraina, oltre a quello del governo italiano, che ha già preparato il quarto pacchetto di armi da inviare all’Ucraina. Sotto quest’ultimo profilo, il premier Draghi ha annunciato che il decreto sarà secretato e conterrà mezzi destinati all’equipaggiamento, artiglieria pesanti e blindati. Rimane solo un nodo da sciogliere: l’invio di armi a lunga gittata, anche se a Palazzo Chigi l’idea preponderante è proprio quella di trasmetterle a Kiev.
Insomma, attraverso i bombardamenti alla capitale ucraina, Vladimir Putin ha raggiunto un duplice risultato. Uno interno, affermando implicitamente come non possano intercorrere rapporti di pace in questo momento, ed uno esterno, rivolto ad un Occidente sempre più convinto a schierarsi dalla parte della resistenza ucraina. Proprio ieri, la vice ministra ucraina della Difesa, Hanna Malyar, sulle colonne del Washington Post, ha ricordato come i russi “sparano circa 60mila colpi d’artiglieria al giorno”, dieci volte più degli ucraini, oltre a vantare un numero di uomini esponenzialmente superiore rispetto a quelli dell’aggredito.
Il conflitto è più che mai infuocato. Forse, lo è ancora più oggi rispetto ai mesi precedenti, vista la sterzata della Federazione Russa sul gas esportato in Occidente, generando non solo una guerra di campo con l’Ucraina, ma intavolandone un’altra, questa volta economica, con lo storico nemico occidentale. Purtroppo, è ancora troppo presto per parlare di pace. E sarà così per i prossimi mesi.
Matteo Milanesi, 26 giugno 2022