Del libro di cui vi sto per parlare, non voglio dire tutto. Anzi il meno possibile. Una recensione può dare un sapore, ma poi i testi tocca leggerli. E quello di cui ci occupiamo oggi si chiama Likecrazia. Lo show della politica in tempo di pace e di Coronavirus (Piemme).
È scritto da Daniele Capezzone. Un intellettuale, non si offenda, che il recensore frequenta da anni. Chiusa la premessa e la manifestazione di un gigantesco conflitto di amicizia, arriva la conclusione: chi non compra questo libro sbaglia. E se poi quel qualcuno ha velleità televisive, davanti o dietro la telecamera, fa anche peggio. Anche coloro che non amano Capezzone, e ce ne sono, anche coloro che hanno quel tono di sufficienza nei suoi confronti, dovrebbero compulsarlo. Magari di nascosto, o come si faceva un tempo, cambiando la copertina, e magari mettendoci quella di un Carofiglio o di Veronesi. Avrebbero qualcosa da imparare.
Torniamo al libro. Esso ha molto a che fare con la moderna informazione, ma non si limita ad essa. Spiega perché il tipico ospite da talk show non conosca la massima: «quanto ti stanno a sentire? 10 secondi se parli, 20 se piangi, 30 se sanguini…». Ha delle piccole intuizioni geniali, del tipo dell’ospite pedante che continua a dire: mi lasci concludere. Ma dicevamo che Likecrazia è qualcosa di più che un’analisi dei salotti televisivi e degli influencer internettiani. È il protocollo Capezzone che aggiorna quella vecchia massima (Montanelliana) per il quale agli intellettuali e ad una certa sinistra il popolo fa orrore: dunque il nemico non si comprende nella sua forza, si demonizza quando vince e il popolo che lo elegge lo si considera immancabilmente ignorante.