I semiconduttori, la nuova minaccia cinese

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È un’altra guerra, meno clamorosa, ma ben più significativa, che non si manifesta a colpi di missili o di conquiste territoriali, quella che si svolge tra Stati Uniti e Cina. La vera nuova guerra fredda, una guerra silente di supremazia militare e tecnologica, con al centro, l’industria dei semiconduttori, indispensabile per qualsiasi produzione, dalle tv, ai cellulari, alle auto, fino alle apparecchiature militari.

La Cina oggi, ha più che mai necessità di piccoli semiconduttori, non solo per la propria industria, ma anche per lo sviluppo e l’ammodernamento dei propri programmi militari, tanto temuti da Washington. Per far questo, sta cercando in tutti i modi, di raggiungere il livello di competenze di Taiwan, leader mondiale nella produzione, con un market share sul volume globale, del 60% per i semiconduttori più comuni, e del 90%, per i chip di punta, i più infinitesimali, quelli da 7 nanometri (presenti p.e. negli Iphone), prodotti esclusivamente dalla Tsmc Taiwan Semiconductor Manufacturing Corporation. Come riporta un analisi di Alessia Amighini, su la Voce.info.

Negli ultimi vent’anni, Taiwan ha investito tutte le sue risorse, in un campo lasciato vuoto dagli Stati Uniti (leader mondiale negli anni’90), che hannno delocalizzato la produzione fisica di chip, considerata erroneamente, poco strategica. L’industria dei semiconduttori, è divenuta oggi, per Taiwan, l’unica assicurazione sulla vita e l’arma di dissuasione nei confronti della Cina, grazie al reclutamento di ingegneri e manager taiwanesi formatisi proprio negli Stati Uniti, negli anni ’80 e 90.

Ma è sufficiente che la Cina, ponga in atto esercitazioni militari, cosa che ha già fatto a più riprese, soprattutto in quest’ultimo anno, con il relativo blocco dei porti di Taiwan, che i componenti finiscano per rimanere bloccati nei magazzini, a causa dell’interruzione della logistica. E poiché il settore è altamente globalizzato, la produzione è concentrata e la domanda di componenti elettronici è in costante aumento, le difficoltà di approvvigionamento determinano un impatto sull’economia mondiale. Per far fronte alla carenza di chip, e contenere le ambizioni della Cina – anche Xiaomi, ha iniziato la produzione di semiconduttori – il presidente Usa, Joe Biden, ha firmato il 20 agosto scorso, il Chips ans Science Act, un nuovo decreto, che prevede l’erogazione di 53 miliardi di dollari, verso l’industria nazionale.

Ma con l’acutizzarsi della crisi, in parallelo all’accusa di spionaggio industriale e violazione dei brevetti, mossa dagli Stati Uniti alla Cina, alcuni ceo e dirigenti di grosse aziende cinesi, hanno acquisito negli anni, la cittadinanza americana, l’amministrazione statunitense, ha annunciato il 7 ottobre scorso, nuovi limiti alla vendita di chip e di tecnologie relative ai semiconduttori, verso la Cina. Nella lista resa pubblica dal dipartimento del Commercio, si prescrive il divieto per le aziende americane, di vendita di microchip alla Cina, il divieto, per le aziende del mondo, di vendere semiconduttori a Pechino, con tecnologia statunitense, il divieto per cittadini americani coinvolti in R&S, di lavorare per aziende cinesi. Migliaia di ingegneri sino-americani dovranno scegliere il loro campo, abbandonare l’impiego o rinunciare al passaporto americano.

Le relazioni diplomatiche tra Stati Uniti e Cina, non sono mai stati così tese. E la Cina, la cui potenza militare navale, è seconda solo agli Stati Uniti, ha già fatto capire, secondo le parole di Xi Jinping all’ultimo congresso del Partito, che non rinuncierà all’uso della forza nei confronti di Taiwan. Il presidente Usa Joe Biden, in occasione della visita in Giappone, il 23 maggio scorso, aveva parlato di difesa incondizionata di Taipei, nel caso di un aggressione cinese.

Il 17 settembre scorso, l’amministrazione Usa ha dato seguito alle proprie intenzioni, varando il Taiwan Policy Act, con un rinforzo del sostegno militare a Taipei e l’invio nei prossimi quattro anni, di forniture militari, per un valore di 4,5 miliardi di dollari, secondo quanto riportato da Bloomberg. Taiwan, pur non essendo ufficialmente riconosciuto come Stato sovrano, intrattiene importanti rapporti economici con il resto del mondo. Basti pensare che l’interscambio commerciale con la Germania, ammonterebbe a venti miliardi di dollari. Non ci sono ambasciate, ma uffici con personale diplomatico, che ne fanno le veci.

Nell’ottica di un contenimento militare della Cina, gli Stati Uniti possono contare oggi, non solo sull’appoggio di Giappone e Corea de Sud, ma anche su quello dell’Australia, con cui ha hanno firmato, assieme al Regno Unito, nel settembre 2021, uno storico patto di difesa militare, che prevede tra l’altro, l’invio a Canberra, di sottomarini a propulsione nucleare.

Ma è sul versante economico, che la Cina è ancora in grado di avere un peso significativo nelle relazioni con gli Stati Uniti. L’accordo di diminuzione del surplus commerciale nei confronti degli Stati Uniti, firmato con l’amministrazione Trump (nel 2018 ammontava a 418 miliardi di dollari), è stato ampiamente disatteso, e la Cina ha importato nel 2021, il 30% in meno dei beni pattuiti. Nel 2001, in occasione dell’entrata della Republica Popolare Cinese nel WTO, l’avanzo commerciale con gli Usa, ammontava a soli 83 miliardi di dollari.

Friedrich Magnani, 9 novembre 2022

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