Non hanno capito niente su Brexit da tre anni, e questo è ormai abbastanza chiaro. Ma il dramma è che i nostri “competenti”, quelli che chiamerei gli “eurolirici neomelodici”, mostrano di non aver ancora imparato la lezione. E, dopo il voto della scorsa settimana nel Regno Unito che ha visto il trionfo di Boris Johnson, la reazione dei nostri politici e commentatori mainstream è stata tanto prevedibile quanto sbagliata: accelerare sulla costruzione europea, procedere con l’integrazione Ue come se nulla fosse.
Insomma, anziché riflettere criticamente su ciò che non ha funzionato nell’attuale Ue e che ha indotto i britannici a uscirne a furor di popolo, troppi fingono che tutto vada benissimo a Bruxelles, e sembrano desiderosi di riprendere tranquillamente con i loro slogan. Occhio alla prima cosa (devastante) che questi signori hanno in mente: la chiamano “armonizzazione fiscale”, e a prima vista, se uno è distratto, rischia di caderci: con parole dolci, vogliono convincerci che i 27 paesi membri dell’Ue dovrebbero dotarsi del medesimo sistema fiscale, perché – ci dicono – alcuni hanno creato dei “paradisi”.
Alt! Non sono altri paesi ad aver creato “paradisi fiscali”, ma siamo noi ad aver creato un inferno fiscale. Semmai, sarà proprio Brexit, adesso, con la prevedibile (e benedetta!) linea che Boris Johnson imporrà per attrarre risorse e investimenti (meno tasse, meno regolazione), a scatenare un’ondata virtuosa di competizione fiscale. Guai se l’Ue reagisse costruendo un’unica gabbia a tasse alte e a regolazione ancora più alta. Ora occorre puntare non sull’armonizzazione tributaria, ma sulla fiscal competition. Ogni paese deve sapere che è in lotta, che è in corsa, e che è interesse di ciascuno abbassare le tasse, per attrarre investitori e imprese. Altro che un sistema che rischia di omogeneizzare un intero continente su standard fiscali e burocratici troppo elevati.
Colgo l’occasione per una notazione di carattere culturale. Purtroppo è dolorosamente vero che molti liberisti (specie in Italia), non si comprende per quale vena masochistica, si siano messi a fare i cantori acritici di Bruxelles: ma è pur vero che il primo e più feroce critico scientifico del progetto dell’Euro è stato il padre del liberismo moderno, Milton Friedman, e che la più grande e coraggiosa leader politica dell’ultimo quarantennio, la liberista e conservatrice Margaret Thatcher, è stata nemica assoluta dell’europeismo ideologico e accentratore. In Italia, con preveggenza, è stato ed è ancora un grande liberista come Antonio Martino (non certo sospettabile di ostilità agli ideali europeisti) il primo a indicare i limiti e gli errori della costruzione dell’Ue.