Cronaca

“Il bene si afferma raccontando il male”. Fermate Saviano, vestale di Geolier

geolier saviano © robypangy tramite Canva.com

L’integrazione all’europea, all’italiana, funziona come segue: possono entrare tutti, tranne quelli che non piacciono a noi. All’istituto marocchino di Pioltello, livello didattico fra i più scrausi del continente, difeso da Sergio Mattarella, possono entrare, per dire decidere, imporsi sugli altri, gli islamici che pretendono chiusura per Ramadan, ma non eventuali, improbabili cattolici dissidenti. All’oratorio di Pordenone possono partecipare tutti, purché musulmani, ma non i giornalisti impiccioni che vengono cacciati dal panzuto parroco in casacca balneare: chi vi ha fatto entrare, questa è casa mia.

A Bruxelles per conto del Pd possono entrare cariatidi, cialtroni e antifascisti vari come questa Salis, nella costernazione delle varie Picierno e Moretti che lottano solo per mantenere le proprie poltrone e c’è da empatizzarle, chi di noi non farebbe lo stesso. All’Università, in perfetta analogia, possono entrare ladri, farabutti, mestatori pro Hamas, “un buon grassatore”, “un professionista dell’Est”, come diceva Bambino di Trinità, mentre giornalisti non militanti, ebrei e papi crucchi no: gli sbarrano la strada pure i premi Nobel per la Fisica Comunista. Adesso è il turno di questo Geolier, uno che farebbe musica, dicono, ma musica per sordi, il solito rapper tricchetracche specializzato nel vittimismo da vicolo, uno che dice: “Abbiamo (sempre col plurale napoleonico si esprimono i fanfaroni) negli occhi la povertà di Napule, rappresentiamo ‘a miseria e diamo fastidio”.

Uno arrivato, a 23 anni, misteriosamente al Festival con volo privato, appeso a una fidanzata più giovane appesa a una borsa griffata da migliaia di euro. Ma il rettore con l’ateneo invaso da agitatori in sostegno di Hamas, ostenta strafottenza partenopea, dice: le polemiche non ci interessano, alludendo alle perplessità del magistrato Gratteri. E magari a quelle di un Paese che non capisce più, che ormai è stanco anche di stupirsi e di vergognarsi.

Geolier, da influencer sulle tracce di altre influencer, indimenticabile una che aveva scritto un libro, vantandosi di non averne mai letto mezzo e dava lezioni di cultura a “studenti” poi picchiatisi per farci un selfie, impartisce la sua lezione di vita. Come i suoi video dove esalta ogni feticcio del vivere criminale e milionario. Cosa che al moralista a gettone Saviano piace, essendo anche lui dell’insopportabile paraculaggine napoletana, attico su Central Park e sostegno parolaio ai dannati della terra. Saviano non è mai stato uno scrittore, un intellettuale. È un plagiario riconosciuto, uno che si ricrede, a Napoli quelli così li definiscono “chiachielli”, un fenomeno editoriale costruito a tavolino sulla storia delle minacce da una camorra che mai se l’è filato, come diceva l’attuale capo della polizia Vittorio Pisani, all’epoca finito nei guai per avere osato dire il vero.

Cosa dice Saviano, fenomeno da Che tempo che fa: le banalità più elementari, nel senso della scuola di Pioltello: che ‘o cumbà Geolier canta la realtà, non la determina. È un espediente retorico miserabile e ipocrita, preso alla lettera potrebbe valere per chiunque ma Saviano dell’odio vittimistico e della faziosità con cui maledire gli altri, per potersi atteggiare a martire, ha fatto la sua cifra. Di soldi. Integrazione è che entra, va bene, è degno solo chi diciamo noi.

Anche per il trapper Baby Touché, nato Mohamed qualcosa, un marocchino italianizzato, ma non tanto, il chiachiello letterario potrebbe dire che “fotografa la realtà”. Uno che a Padova è indagato per detenzione abusiva di armi ed esplosivi, inneggia alle stragi, al putinismo punitivo, al tiro allo sbirro. Fenomeni subcriminali che ci vorrebbe poco ad annientare, anche senza i metodi di Putin, e invece crescono rigogliosi sul notorio lassismo nazionale verniciato di inclusione.

Ma questi trappettari sono pure loro specializzati nel vittimismo inclusivo: noi siamo italiani ma restiamo nordafricani, pretendiamo tutto ma vi odiamo e rivendichiamo il diritto di farvi fuori. Questo insopportabile, che si crede un boss, tiene in casa un machete lungo mezzo metro, a corredo dell’armocromia moralistica che delizia a Saviano in virtù della poetica descrittiva. Anche quando il Baby flap flap dà alle fiamme lo stemma di Padova con una bottiglia incendiaria, è estetica dell’integrazione inclusiva. La gang in cui il Baby esplica il suo attivismo sociale e climatico si chiama PdGang, e questa è la combinazione più deliziosa, se solo fosse voluta il Baby meriterebbe una menzione nell’Olimpo degli apprendisti trappisti.

A questo punto, come da fiume al mare, come dicono i fratelli musulmani, non resta che la candidatura collettiva da Elly Schelin. Del Geloier, del Baby Touché, del Simba la Rue, della Pd-gang à l’infini. En attendant la viva solidarietà dal Capo dello Stato.

Max Del Papa, 28 marzo 2024

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