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Il buco nell’ozono si sta chiudendo: è una buona notizia?

L’Onu ha comunicato che il buco nello strato di ozono, tanto temuto dagli ambientalisti, si sta chiudendo. Ecco perché

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Un trattato del 1987 ha bandito dal mondo intero, grazie a una delle tante oziose battaglie ambientaliste, l’uso dei clorofluorocarburi (CFC), usati come refrigeranti e che, se dispersi nell’ambiente, partecipano a reazioni chimiche che contribuirebbero a diminuire l’ozono alle alte quote. L’ozono assorbe, alle alte quote, parte della radiazione solare, svolgendo un’azione protettiva da essa. Il sole, infatti, ancorché scelto come simbolo da svariati gruppi ambientalisti, è un cancerogeno certo, nel senso che l’esposizione a esso aumenta il rischio di melanoma alla pelle, un tumore di cui rimangono vittime, solo in Italia, oltre un migliaio di persone all’anno.

Alcuni agenti dannosi manifestano il fenomeno dell’ormesi, secondo cui o una bassa esposizione all’agente è addirittura protettiva rispetto al danno che l’agente causa a dosi più elevate o, semplicemente, l’agente è responsabile sia di effetti dannosi che di effetti benefici e, in quest’ultimo caso, solo un’analisi accurata del rapporto danno/beneficio può dare informazioni sull’opportunità di esporsi ad esso. Sono forti i sospetti che l’esposizione al sole abbia entrambi i tipi di effetto ormetico.

Riguardo al primo tipo di ormesi, sembra che, mentre l’esposizione eccessiva e intermittente, soprattutto se accompagnata da scottature, aumenti il rischio di melanoma, una esposizione protetta, anche se continua, riduca invece quel rischio, in conseguenza, sembrerebbe, dell’induzione di meccanismi protettivi conseguenti all’esposizione a basse dosi e continua.

Riguardo al secondo tipo di ormesi, sono svariati i benefici accertati dell’esposizione al sole, il più significativo dei quali sembra essere la riduzione del rischio di malattie coronariche, che sono la forma più comune di malattie cardiache. Ad esempio, è stato trovato che l’incidenza delle malattie coronariche aumenta con la latitudine, con la quale decresce anche l’esposizione al sole.

Naturalmente, questa semplice associazione non è sufficiente a soddisfare gli scienziati: è necessario un meccanismo. Il più accreditato nasce dalla costatazione che sia la vitamina D (la cui produzione è indotta dalla radiazione solare) che il colesterolo (responsabile di aumento di rischi di malattie coronariche), hanno uno stesso precursore (la molecola di squalene), per cui ove maggiore è la presenza di vitamina D minore dovrebbe essere quella di colesterolo, e viceversa. Effettivamente è stato trovato che la concentrazione di vitamina D è inferiore al normale tra le vittime di attacchi cardiaci e che la concentrazione media di colesterolo aumenta in popolazioni delle alte latitudini e aumenta nei mesi invernali. Ed è stato anche trovato che l’incidenza di mortalità da malattie coronariche aumenta tra le persone che nella loro vita si sono meno esposte al sole.

Ancora una volta, tutte queste associazioni e correlazioni non bastano a soddisfare gli scienziati. Bisogna escludere svariati fattori confondenti. Ad esempio, ci si potrebbe chiedere se per caso non sia la temperatura, piuttosto che l’esposizione al sole, il fattore che protegge dalle malattie coronariche. Senonché non è stato osservato alcun aumento nell’incidenza di queste malattie con l’aumento di altezza dal livello del mare, né è stato osservato alcun aumento nel passare da una realtà “più calda” come quella di Los Angeles a una “più fredda” come quella di New York.

Anche se altri fattori confondenti, come la dieta, sono stati considerati, la scienza, con tutta la sua doverosa cautela, ritiene plausibile, ma non convincente, l’idea che l’esposizione al sole sia un agente significativamente protettivo rispetto alle malattie coronariche.

Tuttavia ci si può legittimamente porre una domanda. Premesso che l’incidenza di mortalità da malattie coronariche è 100 volte maggiore di quella da melanoma alla pelle, anche assumendo un raddoppio di rischio di melanoma a causa della diminuzione di ozono, basterebbe solo l’1% di corrispondente diminuzione di rischio di mortalità per malattie coronariche (ma, si stima, questa diminuzione è superiore all’1%) per chiedersi se la decisione del 1987 che bandiva i CFC fu una decisione irrilevante.

La domanda è ovviamente accademica, perché gli ambientalisti – come in altri casi – stanno facendo tanto chiasso per prendersi meriti che non hanno: devono pur giustificare la loro pleonastica esistenza. Rimane comunque il fatto che l’aumento e la diminuzione dell’estensione dello strato di ozono alle alte quote è, principalmente, un fenomeno naturale. E rimane sempre l’invito da parte mia di ignorare ogni affermazione emotiva delle associazioni ambientaliste, il cui sole brilla soprattutto per analfabetismo scientifico, e di rimettersi all’analisi, scientificamente condotta, del rapporto rischi/benefici.

Franco Battaglia, 10 gennaio 2023