Un detto popolare recita così: “Del maiale non si butta via niente”. Un animale anti spreco con ogni sua componente commestibile. Il tanto evocato campo largo sembra l’applicazione nella sfera politica del proverbiale aforisma di ispirazione suina. In altre parole, il Pd pur di prevalere sugli avversari agogna un cartello elettorale che inglobi di tutto senza trascurare il coinvolgimento di quelle vocazioni ideologiche incompatibili sia con la collocazione atlantica del Paese sia con gli anticorpi liberali tesi al rilancio economico del nostro tessuto produttivo.
Il risultato della Sardegna aveva galvanizzato i fautori del disegno estensivo della miscellanea alleanza, ma l’esito abruzzese con la vittoria del centrodestra ha confermato il carattere velleitario del progetto di Elly Schlein. La replica differita dell’Unione (la coalizione guidata dal federatore esterno Romano Prodi tra il 2004 e il 2008), conoscendone l’epilogo infausto connaturato al suo frastagliato contenuto, significherebbe reiterare una formula politica sperimentata dal fallimento.
Tuttavia, per pura inerzia mnemonica e senza badare alle conseguenze di operazioni politiche fittiziamente unificanti, si ripete come un mantra la necessità di costruire il fantomatico campo largo. Tale espressione agreste rischia di trasformarsi nel campo lardo con i suoi eccessi e la sua tendenza a non buttare nulla di tutto ciò che può essere utile a sconfiggere l’avversario. Le alleanza che si generano soltanto per antitesi, in funzione della contrapposizone, senza maturare una praticabile visione di governo, sono destinate ad implodere perché nella loro simbiosi prevale il prodotto alchemico e artificiale.
Il centrodestra da trent’anni si presenta agli elettori, ancorandosi a coordinate politiche e culturali leggibili e decifrabili, in un quadro di spontanea condivisione degli obiettivi indicati al Paese. Sui temi fondamentali, come la semplificazione fiscale e burocratica, la riforma della giustizia, il sostegno all’Ucraina e l’ammodernamento istituzionale, la convergenza è naturale. Sulle stesse materie, invece, nel centrosinistra le divergenze sono sostanziali e non componibili. Il giustizialismo pentastellato come si concilia col garantismo di Renzi? Il supporto alla resistenza ucraina di Calenda come si contempera con la contrarietà agli aiuti militari a Kiev di Conte? L’ala filo produttivista della sinistra come può armonizzarsi con i talebani dell’ambientalismo e gli indulgenti verso gli eco- vandali alla Bonelli e alla Fratoianni?
In queste palesi contraddizioni non può attecchire una proposta politica compatibile con gli interessi del Paese. Il remake della stagione che ha prodotto il frutto bacato della demonizzazione dell’avversario (ieri Berlusconi veniva dileggiato come il Cavaliere nero, oggi l’avversario da fascistizzare è il tandem Meloni-Salvini), contro cui coagulare tutto e il contrario di tutto, non troverà il consenso dei botteghini elettorali. Ormai è evidente che la disperazione politica induce la sinistra a intossicare il clima, evocando in una sorta di spiritismo politico il perenne pericolo fascista.
E sul nemico inventato si cerca di costruire l’alleanza progressista in un campo largo, promuovendone l’espansione. Ma, considerando i presupposti, è probabile che il campo sia lardo, contraendosi ai primi ardori elettorali.
Andrea Amata, 14 marzo 2024
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