Il Partito democratico a fatica nasconde la delusione del flop realizzato dal cosiddetto “campo largo” nel primo turno delle elezioni amministrative. Il suo segretario Enrico Letta, in una intervista alla Stampa, lo ha definito “un buon risultato”. Simona Malpezzi, capogruppo dem al Senato, ha tratteggiato l’orizzonte strategico che vede nell’alleanza spuria con il Movimento 5 Stelle il suo baricentro: “Per noi il campo largo è il tentativo di tenere tutti insieme nell’ambito dello schieramento di tutte le forze che si riconoscono nel centrosinistra: in alcune realtà siamo riusciti a farlo in altre no. Il Pd – ha poi aggiunto – non pone veti e prova a tenere tutti insieme. Stiamo cercando di smussare gli angoli per provare a creare quel campo valoriale capace di contrastare la destra sovranista. Solo uniti possiamo riuscirci. Il Pd si è presentato ovunque ed è il perno di un campo largo riformista e progressista.”
Ora, sarà pur vero che soprattutto dopo il rimbambimento di massa determinato da oltre due anni di terrore virale la memoria dell’elettorato si sia ulteriormente accorciata, ma probabilmente non abbastanza per consentire ad una mera sommatoria di soggetti diversi di dar vita ad una operazione politica degna di questo nome. Ciò significa, in estrema sintesi, che la lunga incompatibilità che ha diviso con toni molto aspri gli eredi del Pci e il partito di Grillo, quest’ultimo nato su basi comunicative anti-establishment a prescindere, non può essere semplicemente superata con un accordo tra i vertici delle due forze politiche. E questo non può che tradursi, come sempre accade in simili frangenti, in una sostanziale perdita di consensi, allontanando tutti quegli elettori potenziali che mal digeriscono il connubio con l’avversario di sempre.
D’altro canto, se esiste ancora nel M5S un riflesso di quel nuovismo anti-sistema, il quale ha raggiunto la sua grottesca apoteosi annunciando l’abolizione della povertà da un balcone, che lo ha portato nel 2018 ad ottenere il voto di un italiano su tre, esso non è assolutamente compatibile con il partito più governativo del nostro magmatico sistema politico.
Una sorta di accordo tra il diavolo e l’acqua santa il quale, oltre a far venire il mal di pancia ai propri tifosi, riesce a tenere ben distanti dal pretenzioso campo largo tutte quelle forze di centro che provengono da una cultura di sinistra: Italia viva di Renzi e Azione di Calenda su tutte.
In realtà, per come si stanno mettendo le cose, l’operazione fortemente voluta da Letta sta ricreando, probabilmente in modo inconsapevole, i presupposti per una sorta di revival del famoso Fronte Democratico Popolare, i cui comunisti e socialisti dettero vita ad una fallimentare alleanza nelle elezioni politiche del 1948.
Altro che campo largo, dunque, con l’ingresso dei grillini in una coalizione che comprende molte frattaglie della sinistra radicale, tra cui Articolo uno di Speranza, il baricentro della coalizione, che una volta poteva ancora definirsi di centrosinistra, sarà pericolosamente inclinata verso un confuso massimalismo che ha sempre spaventato l’elettore medio di questo Paese. Così avvenne nel 1948 e così probabilmente accadrà nella primavera del prossimo anno.
Claudio Romiti, 14 giugno 2022