Rifacendosi al Nouveau Front Populaire di francese ispirazione, vorrebbero costruire un cartello elettorale in grado di contrastare lo strapotere del centrodestra di governo. Una sorta di ‘tutti dentro’, sulla falsariga di quello che oltralpe, appena poche settimane fa, ha fermato sul filo di lana la poderosa avanzata di Marine Le Pen e Jordan Bardella. Insomma, senza troppi giri di parole, una grande ammucchiata in perfetto stile francese, da replicare anche in Italia nel disperato tentativo di porre un freno all’incontenibile ascesa politica di Giorgia Meloni.
Peccato solo che i principali interpreti del Fronte popolare all’italiana, o se preferite campo largo, passino la gran parte del loro tempo a scannarsi tra loro, non trovandosi d’accordo praticamente su nulla.
Il primo grande scontro tra i campolarghisti improvvisati si consuma sul terreno della Giustizia, lì dove tra separazione delle carriere, abuso d’ufficio, carceri e riforma del Csm, le distanze ideologiche tra centristi da una parte e Pd, M5S e Avs dall’altra sembrano davvero incolmabili. E se in tema di Giustizia le posizioni dei potenziali futuri compagni di coalizione risultano essere agli antipodi, le cose non vanno certo meglio quando entra in gioco la politica estera. Anche quando si parla di Ucraina e Medio Oriente, le differenze tra le varie anime del campo largo appaiono abissali: si va dall’atlantismo senza se e senza ma di Renzi, all’atlantismo prudente di Calenda, passando dal pacifismo di facciata che puzza sempre più di antiatlantismo di M5S e Avs, per arrivare sino all’ibridismo di un Pd logorato internamente dalla profonda diversità di vedute fra le molteplici aree e correnti.
E poi, ancora, pur volendo ignorare le antitetiche posizioni ideologiche dei possibili alleati, c’è sempre la questione veti che rende assai difficile la coabitazione tra i vari inquilini. Giuseppe Conte ribadisce fermamente il suo secco ‘no’ a Matteo Renzi, ritenuto dal leader pentastellato poco affidabile e dotato solo di ‘capacità demolitoria e ricattatoria’. Sulla stessa lunghezza d’onda di Conte anche Avs e Azione, che vorrebbero il leader di Italia viva fuori da ogni possibile accordo elettorale. Più morbide, invece, le posizioni di M5S e Avs nei confronti di Carlo Calenda, sebbene, sondaggi alla mano, le rispettive basi elettorali non gradirebbero affatto l’idea di poterselo ritrovare in qualità di alleato.
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E, infine, in mezzo a questo logorante gioco di veti c’è lei, Elly Schlein, che prova affannosamente a mettere da parte convinzioni ideologiche e antipatie personali, al fine di trovare una sintesi in grado di far coesistere pacificamente centristi, verdi e pentastellati, così da potersi ergere quale garante e federatore del nascituro campo largo. E qui tocchiamo l’ennesimo nervo scoperto: per il Pd è naturale che a vestire i panni del leader della coalizione sia la Schlein, forte dell’ottimo risultato delle elezioni europee e dei quasi quindici punti percentuali in più ottenuti alle urne rispetto ai pentastellati. Conte, dal canto suo, sostiene che non possa essere il risultato della tornata elettorale europea a decretare il nome del federatore, e non pare minimamente disposto a rassegnarsi all’idea di dover accettare la leadership di Elly Schlein.
Insomma, c’è tutto perchè il campo largo assomigli sempre più a un vero e proprio campo di battaglia, con i presunti futuri alleati l’un contro l’altro armati a farsi la guerra tra loro. Da largo a minato il passo è veramente breve.
Salvatore Di Bartolo, 15 agosto 2024
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