Uno vede Amadeus ancora lì, sempre lì, a volte con moglie incorporata, li chiamavano i Civitillos, lo vede a Capodanno, dopo averlo appena visto nel giochino dei premi, in attesa di Sanremo, ma come fa? Ma dove la trova la forza? E si domanda con la testa fra le mani: ma come faccio io a pensare anno nuovo vita nuova? Uno sente Caro amico ti scrivo, ancora quella, sempre quella, son riusciti a farcela odiare, e pensa di buttar giù una lettera minatoria.
Uno vede la serata di san Silvestro Rai e gli viene voglia di sovrapporla ad una qualsiasi delle ultime trenta, quaranta, tanto non si coglie differenza. A parte la lochescion, a lungo Matera, per ragioni di corridoi, adesso Perugia, “il cuore dell’Italia”, ma tanto l’Italia medievale la puoi confondere ad arte. Uno vede sempre quelli, ancora quelli, e pensa che altrove non so, ma questo è proprio il paese dei climatologi che son come i virologi. Uno poi scorre le agenzie con le dichiarazioni spiazzanti, ficcanti di “Ama”, e lo odia, e dopo l’Ansa gli viene l’ansia: “Serata scintillante”, “Serata di riappacificazione per gli italiani verso un 2023 che si spera più sereno”. Ah, sì? Tralasciando che il discorsetto pare fregato al Mattarella di fine anno (o viceversa, chissà), davvero gli italiani devono riappacificarsi? E per cosa? E come mai si aspetta un anno più sereno? Per colpa di chi, chi, chi, chi?
Ma Zucchero stasera non c’è. Ci sono: Iva Zanicchi, 82 anni e non sentirli, beata lei, Donatella Rettore, da Castelfranco Veneto con furore, i Ricchi & Poveri “formato duo” (per forza, santa Madonna), tutta una carrellata di cavalli di battaglia, il più fresco ha 55 anni. Per non farci mancare niente hanno chiamato Sandy Marton, con la stessa messa in piega del 1984, ma Orwell gli spiccia casa, la faccia purtroppo raddoppiata, un ibrido tra Mickey Rourke e una ricottina comprata a Londra. People from Ibizia diventa una specie di marcia grottesca. Quanto a Tracy Spencer, che chi ha meno di 40 anni non può ricordare, chi ne ha di più preferirebbe dimenticare. L’anno che verrà? No, l’anno che è venuto l’anno scorso, e quello prima, e quello prima ancora, e indietro, e indietro, ci stanno pure i Modà, che nessuno ha mai capito cosa fossero in verità, c’è un criptico LDA, che starebbe per Luca D’Alessio e infatti è proprio figlio di quello là, il neomelodico. Perché qua è tutta ‘na famiglia, però non faccio per dire, non perché è figlio ammè, ma ‘o guaglione è buono davvero. Le canzoni, comunque, erano uno schifo, come i fagioli di Trinità. Capodanno prepara Sanremo e Amadeus è il filo conduttore, onnipresente, un presente continuo.
Insomma il futuro ha un cuore avvizzito. Come fa la Rai a voler così male a quelli che la mantengono? Perché gli dà ogni anno e ogni anno di più questo eterno ritorno dell’imbarazzo senza vergogna? C’è un numero agghiacciante di due che imitano quelli che hanno vinto a Sanremo l’anno scorso, Blanko e Mahmood, come se non bastassero gli originali, solo che ricordano più dei Righeira scoppiati, tanto per restare in epoca (poi uno crede di fare dell’ironia, ma il Righeira, uno solo, alla fine esce davvero, con la gonna e gli anfibi, ed è pure più inquietante, addosso non gli sono passate 4 decadi ma 4 secoli). Di peggio i due riusciranno a fare con la parodia di Elton John e Ru Paul: il punto più abissale di una serata irreale. Perché, Signore, perché? Perché bisogna fare la marchetta a Sanremo che verrà e anche all’amico Carlo Conti per il solito programma degli imitatori. E anche al talent della Rai, giurati i due Ricchi & Poveri, “e Antonella è fantastica”, la Clerici, tutta una autocelebrazione circolare, io parlo di te che parli di lei che parla di lui che parla di te che parli di me: siamo tutti fenomeni, applausi.
Difatti non può mancare l’appendice di Ama, Fiore, che in collegamento registrato fa il Fiore, cioè la sagra dei cliché ma bisogna dire che è bravissimo, un mostro, tra Chaplin, Noschese e Walter Chiari. Fiorello è un dogma, come il non binario, Greta e la macchina elettrica. E c’è un tale Dargen d’Amico che, a proposito, è quello che la farà da padrone al Festival perché sta alle canzoni come “Ama” alla direzione, insomma sta in mezzo a tutto, fa i pezzi, li produce, impone gli – ugh! – artisti, dicono sia un genietto del pop, ma cazzo se non fa che bofonchiare. Poi arriva Raf, altro che cosa resterà di questi anni ’80, è rimasto lui con quell’aria da commercialista della vecchia Milano da bere. E lì uno si accorge di due cose: una, che Raf canta come un pizzaiolo, l’altra che scorrono in sovrimpressione le parole, la Rai ricorda senza pietà che il suo pubblico medio è sordo per raggiunti limiti di età.
Prendono in giro pure Anna Oxa, ma son quelle imitazioni parrocchiali che ti mettono l’angoscia in cuore. Però tutti saltano e esultano e fingono di divertirsi, devoti a quella liturgia dell’allegria obbligatoria che ti ammazza come una coltellata all’anima. A questo punto, dato l’evento-standard, l’articolo standard dovrebbe tirare in ballo il personaggio-standard, il Maestro Canello di Fantozzi, ma io non lo farò. Lo giuro. Possano cascarmi le mani se lo faccio. Passano altri graditi ospiti: Nek, Raf, ci stavan bene pure Ric e Gian, invece c’è Noemi, tutta roba sanremese, vedi un po’. Compare Rettore col cobra che non è un serpente, sì ma cazzo, ha lo stesso parrucchiere di Sandy Marton, Tozzi e Tiamoti, Francesco Renga che sembra Maradona grasso. E basta! Come diceva Bud Spencer “Bambino”. Ma ecco Pelù, il rocker mascherinato, pluritamponato e oversierato, roba che deve avergli fatto male visto che ieri ha twittato un delirio su Pelù che è come Pelé o forse era il contrario. Da lapidarlo a pallonate. Difatti tanto in palla non dev’essere, tira fuori la bandiera della pace, forse crede di essere al Concertone sindacale. Canta roba in saldo di tre o quattro anni fa, sempre con quelle liriche strampalate. Questa roba, al di là delle critiche più o meno scherzose, ha un difetto di rabbrica, risente dell’età del conduttore, è concepita come uno dei programmi classici dei sessantenni Amadeus, Conti, Panariello eccetera, che hanno in testa la discoteca anni ’80-’90 e giocano su un effetto nostalgia che non ha più ragion d’essere, che è se mai effetto patetismo.
Passano minuti come spine di un calvario e Amadeus a forza di strabuzzare gli occhi e contorcere la faccia si va trasformando in Jack la Cayenne, quello che inghiottiva le tazzine. A inghiottire le padelle sono invece gli spettatori, alcune del millennio scorso, altre fresche di Ama, cioè quello che li manda a Sanremo, via Capodanno. Qui son tutti raccomandati, cosa credete, tutti, senza scampo, sapeste voi le manovre, le macumbe, l’invidia di chi stasera non fa passerella perché l’impresario non è arrivato alla benevolenza del Moloc.
Caro amico ti scrivo, così m’intristisco un po’, e siccome c’è “vola vola con me”, magari m’impiccherò. Da quando sei partito, c’è una grossa novità, l’anno vecchio è finito ormai, ma quest’altro uguale sarà. Sarà tre volte Sanremo, uguale a Capodanno, quest’anno torna Madame, i Jalisse invece non ci vanno. Ma la televisione, ha detto che il nuovo anno, porterà una trasformazione e tutti quanti ci stiamo toccando: fosse mai che sti cazzi di vaccini c’hanno davvero dentro il grafene, il grafite e gli intrugli della Baronessa Ursula che sembra uscita da un pornazzo anni ’70.
Ma non ridendo e un po’ scherzando, ci siamo arrivati: ce lo ricorda l’Ama-Deus, “cominciate a prepararvi”, ahò ma niente niente questo si credesse il ministro Schillaci. Tre, due, uno, via col tappo, un altro strappo al calendario, un altro brindisi a fondo perduto e quei cialtroni maledetti, là dentro lo schermo, che fanno il quando quando quando e il cacao meravigliao, e allora ditelo che il Maestro Canello me lo volete tirar fuori per forza, e fanno il battito animale e Raf che comanda, “su le mani!”, e Amadeus non sembra neanche reale mentre ulula “Auuguuri” e pare già all’Ariston, e la Iva Zanicchi fuori controllo, più gasata del Pelù, racconta pure le barzellette da trivio, alla Berlusconi e tu con gli occhi pieni di lacrime che finiscono nel bicchiere senti che la tua puttana vita è andata, fottuta, passata per sempre. Falsa come una puttana. E niente ti sembra abbia più senso, non l’anno che verrà, non quelli che sono già passati come treni bastardi, carichi di illusioni, neanche una che si sia realizzata, e odi tutti i tuoi amori e detesti te stesso ma a quello ci sei abituato, è solo che anche questo san Silvestro ti senti scricchiolare un po’ di più, ma soltanto a una certa età.
Certo però che possono fare tutti i loro trenini della minchia, ma se solo provano a rimettere in mezzo greenpass, lockdown e tutta la faccenda, altro che riappacificazione, stavolta prendo su il fucile: alzi la mano chi non l’ha pensato. All’una si materializza Marzullo che si fa l’autoparodia, con tanto di domande astruse, un altro reperto e qui il vostro cronista si arrende. Vedi caro amico, cosa ti scrivo e ti dico, e come sono contento di essere qui in questo momento, a inventarmi cazzate sempre più ridicole per tamponare questa vita sempre più tragica. La mia, la tua, quella di tutti quelli che si sentono addosso un macigno di più mentre vedono sfilare tutti quei Nosferatu e inorridiscono al pensiero di scoprirsi come loro, e la vita gli è passata davanti e non l’hanno acchiappata e non capiscono, davvero non capiscono che senso abbia questa macchina del tempo scassata e crudele, questo fingere di sperare, di credere che da domani sarà diverso, ma vedrai che tanto ci richiudono, no stavolta no, non possono, lo dici tu che non possono, se vogliono possono tanto gli italiani sono pecore, non si ribellano mai, no questa volta scoppia la rivoluzione te lo dico io, e intanto ti sale qualcosa in gola, non riesci più a bere, ti viene da piangere, hai bisogno d’aria, di non farti vedere, esci a fumare sul balcone anche se fa un freddo boia.
Max Del Papa, 1º gennaio 2023