Cultura, tv e spettacoli

Il capodanno Rai è il simbolo di un’Italia terminale

Cultura, tv e spettacoli

Un Capodanno accussì nun l’agge mai passato. Prima il congedo mattarelliano, cinque minuti striminiziti di retorica tardorisorgimentale, letta male, sbrigata con frigida indifferenza, come da uno che ha già le valigie in mano. Un discorsetto a metà fra l’elogio di big Pharma (mancava solo la scritta: questo programma è stato offerto da Pfizer) e le cronache marziane: il Paese civile, solidale, unito l’ha visto solo lui, mai dal 1948 ci eravamo sentiti così divisi, sospettosi come topi, auguranti il male fisico tra ultrà del vax e groupie del novax, con tanto di dotti medici e sapienti che fanno le filastrocche per sfottere chi si contagia e la poco intellighenzia delle palettare e dei saltafila che vuol vedere i dissidenti ridotti a “poltiglia verde”, a “mosche che cascano”. Unico brivido di irriverenza: quando ha incitato i giovani a “morderla, la vita”: lì il nostro Notaio ha ricordato l’Iggy Pop dei tempi migliori. Davvero trasgressivo, irriverente, rock and roll, quasi punk.

La noia del veglione 2021

Poi il solito tragico veglione su Rai Uno, con solito tragico Amadeus che di fatto lo riduce a un’anteprima sanremese, gli stessi ospiti ce li ritroveremo tra i maroni entro due mesi: Massimo Ranieri, ritintissimo, che canta “Rose rosse” un successo del 1970 con arrangiamento straziante a cura del Maestro Canello, quello di Fantozzi. Achille Lauro, il marginale contro il sistema griffato Gucci, quello che copia i tempi andati più lui dei Maneskin, e ce ne vuole. Tutta una serie di cariatidi, di solite facce, sempre quelle, in saecula saeculorum, da spararsi proprio, fino al climax raggiunto con sapiente tempismo: Orietta Berti, 79 anni, che a ridosso della Mezzanotte ancora ci infligge il grattacielo nel Perù e il fidanzato di Cantù: ma perché santo Dio debbo sopportare dopo un anno di merda una fine di merda con canzoncine idiote di 52 anni fa? Perché devo festeggiare, si fa per dire, con le stesse canzoni che m’intristivano quando avevo 6 anni? Ma cazzo, possibile che in questa landa derelitta dal tempo, dove tutti “corrono ma non partono”, non succeda mai mai mai niente di nuovo davvero?

Cosa c’è da festeggiare?

Tra l’altro un insopportabile inno al qualunquismo: “Finché la barca va, lasciala andare”, e sembra il completamento del pistolotto (pistolino, data la brevità) presidenziale. Come a dire, ma sì, ma che ci frega, l’economia è al dissesto, la Costituzione, per dirla con Catullo, cacata carta, la libertà un vizio da estirpare, i diritti sono astrazioni filosofiche, la psicosi regna sovrana e perfino i numeri mentono, tutto pur di vietare, abusare, rinchiudere, terrorizzare, tutto pur di non fare, tutto pur di perdere tempo, di accoppare il cavallo agonizzante, ma va bene così, finché la barca va non ti lamentare e corri al centro vaccinale.

L’anno che verrà

Al brindisi c’era mi pare, ma potrei sbagliarmi, Alba Parietti, freschissima, in mancanza di Al Bano che dopo 3 dosi si è beccato la Omicron ma è tutto contento perché “poteva andar peggio”. Frizzi e lazzi, e compare Edoardo Vianello con gli immancabili Watussi, il fucile le pinne e gli occhiali.
Alla Rai infieriscono sapendo di inferire. Mai un colpo d’ala, un fremito di vita, sempre lo stesso museo delle cere. Malgioglio con lo scopettone in testa e poi una che canta roba anni Novanta. E fingono allegria, ma a vederli viene una botta d’angoscia da lanciarsi dalla finestra come un petardo umano. Il Paese “del dolce sì” è diventato quello dell’eterno ritorno circolare, l’Italia è una monarchia fondata sul deja-vu: tutto pare replica di una replica, i discorsi del Colle, i Capodanni con la fatidica “Caro amico ti scrivo…”. Sì, così mi dispero un po’. L’anno vecchio è finito ormai ma c’è niente proprio qui che va. Non si esce la sera, nemmeno quando è festa, e c’è chi ha messo le mascherine vicino alla finestra. E non si va a lavorare per intere settimane e a chi non ha il megagreenpass del tempo ne rimane. Ma la televisione ha detto che il nuovo anno porterà un’altra stretta totale e tutti quanti stiamo già aspettando. Sarà tre volte lockdown, tamponi tutto l’anno, anche i vax saranno reclusi, mentre gli altri è un pezzo che ci stanno. E senza grandi disturbi qualcuno sparirà, ma diranno “nessuna correlazione”, così intanto la barca va.

Va, va: ma dove va? Il Capodanno del servizio pubblico sembra liturgia spicciola, ma non lasciatevi ingannare: è il sintomo di una nazione terminale, che non ha più forza di ripensarsi, più voglia di scuotersi, che si trascina di burrasca in bonaccia, “fin che la barca va”, incurabilmente alla deriva. E da questa dannata fatica di vivere non ci salva più neppure la comicità disperata: le risate si strozzano in gola, lo spettacolo dei ministri sghembi, dei virologi canterini, degli scienziati pazzi, non ho detto altro, ma pazzi, pazzi, pazzi, non diverte più nessuno. Il conto alla rovescia verso un nuovo anno è un meccanismo inutile, che va aggiornato ogni calendario, sapendo che non porterà da nessuna parte. Quest’anno i più hanno rinunciato a scambiarsi gli auguri, non trovandoci un senso: si sono al massimo concessi un pensiero, uno solo: resistiamo, teniamo duro, qualcosa succederà. Cosa, non sa immaginarlo nessuno o forse sì ed è per questo che nessuno lo svela. Il sospetto è che un altro anno da cavie di laboratorio, politico non meno che sanitario, si risolverà davanti a nuovo Presidente che regolarmente farà rimpiangere quello vecchio, con le solite parole stantie, e poi davanti al nasone di Amadeus che annuncia Orietta Berti che intona l’inno nazionale: “Fin che la barca va, tu non remare…”.

Max Del Papa, 1 gennaio 2022