Tutto ha inizio dal Quadro Finanziario Pluriennale di Charles Michel commentato nel blog e che -come anticipato – non poteva portare a nulla di buono. Gli effetti del combinato disposto dell’accordo potranno essere drammatici su ognuno di noi. Conte ha messo in mano al superstato simil sovietico la politica industriale italiana e la stessa struttura sociale del paese; ricordate, la Eu vuole ridisegnare le società dei paesi membri e con questo c’è riuscita. Il Quadro Finanziario Pluriennale contiene Il piano Next Generation Eu inizialmente di 1500 miliardi di euro e dimezzato a 750 miliardi di euro.
Il Next Generation contiene a sua volta il Rff (Recovery & Resilience Facility): è quello che ci interessa: vale 672 miliardi, ci spetteranno 208.8 miliardi di euro: 127.4 in prestiti e 81.4 in sovvenzioni. È interessante – non penso che verrà sottolineato spesso dalla stampa di regime – che la quota parte dei prestiti è aumentata rispetto alla proposta precedente di 36.5 miliardi mentre la quota sovvenzioni è diminuita per 400 milioni. Una nota a parte per i rebates: ovvero un rimborso ad alcuni Paesi contributori netti – i frugali più la Germania – sulla partecipazione al bilancio Eu. Uno sconto che aveva come suo termine il 2020 ma che i beneficiari hanno preteso fosse rinnovato per i prossimi anni ed incrementato, portando un effetto complessivo a fine piano di 26 miliardi e che porteranno ad un effetto pressoché zero tra il dare e l’avere per l’Italia. Questi i numeri in una sintesi veramente estrema – nel dettaglio vi annoiereste oltremisura. Arriviamo ai punti rilevanti:
1. Come verranno finanziati i programmi: Se Bce il denaro lo stampa non è così per la Eu. Tanto esce tanto deve rientrare e questi valori saranno da rimborsare con un aumento dei fondi propri ovvero un ampliamento del suo bilancio attraverso maggiori contribuzioni da parte degli stati e nuove tasse europee. Al momento attuale l’unica definita e certa è la Plastic tax che andrà ad impattare per 80 cents al Kg. L’industria di settore Italiana conta 20.000 addetti e l’ultima cosa di cui le imprese hanno bisogno oggi e nel futuro è una ulteriore tassa.
2. Quando e come saranno erogati i fondi (Governance): il piano prevede 70% nel 2021-2022 il resto nel 2023. I primi soldi si vedranno non prima di giugno considerando il “prefinanzino”: quindi siamo ben oltre il tempo limite. Ma è il come che conta: il Paese membro prepara un piano in conformità alle direttive della Commissione e del piano di Resilienza e Resistenza – questa lo approva ed eroga. Siamo all’economia di piano conforme: questa è Unione Sovietica. Forse andiamo oltre, perché come notavo nell’altro contributo, si è aggiunto formalmente il superbrake, il diritto di veto di singolo Paese e la facoltà dell’Euco di sospendere l’erogazione anche in virtù del non rispetto dell’etereo Stato di diritto Eu. È il passaggio del controllo dalla Commissione al singolo membro dell’Unione.
3. E arriviamo al terzo punto: nessuno denaro senza riforme. Si torna al 2011. In questo caso nessun fondo se non saranno effettuate le riforme strutturali che Eu ritiene vadano fatte. I punti son sempre quelli: pensioni e quindi specificatamente rientro di Quota 100 e ritorno alla legge Fornero, lavoro che significa richiesta di maggiore flessibilità e compressione dei salari, riforme alla sanità, istruzione e transizione green: a questo riguardo, posto che l’Italia ha già raggiunto determinati obbiettivi comunitari nel 2020, ma non la Germania, pagheremo perché quest’ultima e altri stati si mettano in regola in tempo. Ed è banale e scontato non immaginare una patrimoniale.
È una costruzione perfetta che prevede poteri pressoché assoluti allo Stato Centrale anche per contrastare un eventuale governo non gradito anche attraverso la applicazione dello Stato di diritto di cui abbiamo parlato in un altro contributo. Per esempio se un futuro governo non accoglierà i migranti nelle forme e quantità desiderate da chi non vive in questo paese potrà essere sanzionato e, in maniera scalabile, bloccato.
E se l’euro era la mossa per togliere di mezzo l’Italia riducendone la competitività costringendo l’industria – connivente o meno – a svalutare internamente i salari per recuperare i margini di competitività persi con una moneta sintetica e sopravvalutata – nel il disegno palese della economia sociale di mercato tedesca, con questa si è chiuso il cerchio. Senza apparire enfatico, la competitività delle imprese Italiane è definitivamente in mano ad altri Stati che inevitabilmente perseguiranno gli interessi delle loro imprese nazionali. Spero si sia compreso che nessuno è fuori pericolo.
Fabrizio Jorio Fili, 22 luglio 2020