Palazzo Chigi ha desecretato i documenti del Cts su cui si era basata la decisione di applicare il lockdown. Avrebbe potuto darli al Copasir, che ieri ha intimato al governo di tirarli fuori; ha preferito consegnarli alla Fondazione Einaudi, che aveva promosso il ricorso al Consiglio di Stato. Poco male. Inoltre, come riportato dalla Verità, la presidenza del Consiglio avrebbe manifestato al Comitato per la sicurezza la disponibilità ad annullare la riforma dei servizi segreti. Ossia, il blitz, contenuto nel decreto sullo stato d’emergenza e opportunamente nascosto al Parlamento, con cui Giuseppe Conte rimaneggiava le regole sul conferimento degli incarichi ai vertici dei servizi segreti. L’avvocato del popolo avrebbe potuto piazzare un direttore degli 007, che sarebbe rimasto incarica anche a mandato di Conte scaduto.
Sono segnali importanti, che comunque non placano del tutto il vento autoritario. D’altronde, come esiste la dittatura, esiste anche la «dictablanda»: un regimetto soft, ma pur sempre un regime. Capace, ad esempio, di prorogare lo stato d’emergenza in assenza di emergenza. E in generale di spingersi fin dove le reazioni dell’opinione pubblica glielo consentono. Il problema è che sulle smanie del caudillo in pochette rischiano di andare a sbattere anche Pd e Movimento 5 stelle. I quali, oggi, credono che l’autocrazia in salsa casalinica contribuisca, per dirla in romanesco, a regger loro il moccolo: finché non salta il banco, si possono occupare postazioni di potere, decidere le nomine, o, più banalmente, si può tutelare la poltrona, rimandando il momento della resa dei conti alle urne. Ma se ha sequestrato l’intero Paese, tanto più il presidente del Consiglio sarebbe capace di sequestrare i due principali partiti che lo sorreggono. Magari approfittando del loro drammatico vuoto di leadership. Conte potrebbe rivolgere contro le forze politiche che lo mantengono a Palazzo Chigi la stessa arma di ricatto che quelle usano nei suoi confronti: o mi lasciate giocare la mia partita, o vi mando al massacro. Se le cose stanno così, dem e pentastellati stanno perdendo la finestra d’opportunità per liberarsi di un pericoloso concorrente.
In questo senso bisogna leggere la pretesa dell’avvocato di ritagliarsi un ruolo di primo piano nella gestione dei miliardi del Recovery fund. Non è un caso neppure che, sulla scuola, Conte abbia detto: “Garantisco io”. Il rientro in Aula sarà il simbolo più evocativo dell’Italia che ce l’ha fatta. E Giuseppi non vuole essere semplicemente il garante dell’inciucio giallorosso. Sta emergendo sempre di più come il playmaker della squadra, per quanto sgangherata. Siamo lontani anni luce dal professore modesto e sconosciuto, che chiedeva il permesso di parlare ai suoi vice, Matteo Salvini e Luigi Di Maio.
Ciò che sorprende è che il principale alleato del premier, in questa operazione, sembri essere Sergio Mattarella. Sono state le lusinghe del Colle a propiziare la metamorfosi machiavellica di Conte: da avvocato a principe. Adesso, in molti hanno notato i silenzi del presidente della Repubblica sulle decisioni discutibili di Palazzo Chigi. Se il capo dello Stato è intervenuto a gamba tesa in tema di mascherine, con ovvi riferimenti a Salvini, peraltro quasi a rafforzare l’attacco diretto dello stesso Conte al leader leghista, nessuna critica ha invece mosso allo stato d’emergenza preventivo, o al raid sugli 007. Ossia, al golpetto da cui traspare la scaltrezza del premier, il quale non sta solamente lavorando per blindare la propria egemonia sulla compagine giallorossa, ma ambisce addirittura ad assicurarsi una sorta di guardia pretoriana, che gli pari le spalle qualora, temporaneamente, dovesse lasciare Piazza Colonna.
Cosa ci guadagna Mattarella? Evidentemente, il presidente è persuaso che soltanto un uomo forte possa tenere i sovranisti lontani dal governo – almeno finché le rate del Recovery fund non faranno scattare il commissariamento dell’Europa. Ma anche in quel caso, servirà una faccia d’angelo capace di infiocchettare all’opinione pubblica la morte della sovranità nazionale.
Ecco perché, per ora, Conte non sente il bisogno di un partito: né il suo, né quello degli altri. Piuttosto, gli conviene galleggiare nei palazzi.
L’unico che aveva sgamato le mire di Giuseppi, pur dovendo puntare su di lui per salvarsi la pelle, era Matteo Renzi. Perciò Italia Viva cerca sempre di alzare la temperatura nella maggioranza. Al senatore semplice, tuttavia, mancano la forza, il coraggio e la dignità per agire: per far fuori Conte, correrebbe il pericolo di sparire con lui.
Comincia a intuire che qualcosa non va pure Nicola Zingaretti. Sarà per questo che, stando alle voci, vorrebbe entrare personalmente nell’esecutivo, in una posizione chiave come il ministero dell’Interno. Se Giuseppi riuscisse ad accreditarsi come il Marco Minniti della situazione, spiazzerebbe completamente il Pd. E poi è solo controllando le forze dell’ordine, che il segretario dem avrebbe un contropotere da opporre a un vertice dell’esecutivo spalleggiato dai servizi.
Tirando le somme: è vero che senza Conte non c’è speranza – e, soprattutto, sfumerebbe l’opportunità di dare le carte per il Quirinale. Ma un Conte troppo forte non tiranneggerebbe solamente i cittadini italiani. Il caudillo darebbe scacco matto anche a chi credeva di poterlo sedurre e abbandonare.
Alessandro Rico, 6 agosto 2020