Il risultato delle elezioni in Gran Bretagna dovrebbe indurre se non altro a un bagno di umiltà e a un mea culpa collettivo da parte di certi opinionisti, politici e cittadini progressisti italiani che, dall’alto del loro piedistallo e detentori della superiorità morale, per mesi ci hanno raccontato la favola del pentimento del popolo inglese per il voto al referendum sulla Brexit. Lo hanno fatto invocando un secondo referendum, principio antitetico alla democrazia secondo cui, se non piace l’esito di un voto, si può tornare a votare a oltranza fino a che il risultato non sarà quello sperato.
Boris Johnson li ha accontentati facendo di meglio; si è assunto il rischio di tornare alle urne per le elezioni nazionali impostando la propria campagna elettorale con lo slogan “get Brexit done”. Sebbene formalmente ieri non c’è stato un secondo referendum, in realtà la polarizzazione del voto tra i conservatori di Johnson e i laburisti di Corbyn (che hanno ottenuto il peggior risultato dal 1935) era basata essenzialmente sul tema della Brexit. La risposta dei cittadini britannici è stata inequivocabile con una maggioranza schiacciante per i conservatori. D’altro canto Boris Johnson, che ci è stato presentato dai liberal media come un bizzarro leader con i capelli arruffati e un donnaiolo con una burrascosa vita privata, è in realtà un politico con un’importante esperienza che ha raggiunto importanti successi.
Oltre ad essere un uomo di cultura e un giornalista raffinato (è stato lui a scrivere una delle più belle biografie di Churchill in commercio), ha governato Londra da sindaco per due mandati gestendo le Olimpiadi del 2012 e promuovendo politiche per l’ambiente e il verde (celebre la sua campagna per il bike sharing). A livello internazionale può contare su un rapporto personale e di stima reciproca con il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump e chissà se, dopo il risultato al referendum sulla Brexit, la vittoria di Trump negli Usa, il trionfo di Johnson, gli esperti analisti italiani hanno finalmente imparato la lezione? Con tutta probabilità no, ma aspettiamo ancora qualche mese per le elezioni presidenziali negli Stati Uniti, non sia mai che Donald Trump venga rieletto per il secondo mandato.
Francesco Giubilei, 13 dicembre 2019