Scuola

Il cellulare a scuola va proibito e basta

Per studenti meno scemi, meno telefoni tra i banchi. Non basta la circolare: servono pure le punizioni

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Se vi fate un giro in giro constatate quanto Steve Jobs avesse ragione nell’augurare ai giovani «stay fools!». Che, tradotto alla carlona, suona così: «Resta scemo». Vedete, infatti, quanta gente non bada più a dove mette i piedi pur di restare incollata allo schermo del suo telefonino. Tutto il giorno, in bicicletta, sulle strisce pedonali, di notte (non sia mai dovesse perdere qualche chat), sul cesso, al bar, a colazione, pasti col dispositivo mobàil accanto al piatto.

Almeno a scuola, per la salute mentale degli allievi, andrebbe vietato. Ma non con una circolare senza sanzione, quale quella timida attuale (hanno sempre paura che gli diano dei fascisti). Se vieti qualcosa e non prevedi punizione per i trasgressori, hai solo offerto un altro argomento di dibbbbbattito. Come se ne mancassero, con un’opposizione che si appiglia, per disperazione, anche a una virgola omessa. No, il cellulare a scuola va proibito e basta. Gli studenti firmino il proprio col pennarello, lo consegnino all’ingresso, lo ritirino dopo il suono dell’ultima campanella. E metal detector all’entrata, per i furbi. Ma, si sa, gli adolescenti, non avendo (ancora) responsabilità di sorta, non hanno altro da fare che pensarle tutte. Anche se, va detto, ormai non c’è più niente da trasgredire.

Quand’ero al liceo io non c’erano i cellulari e mi dilettavo, durante le lezioni (secondo me) noiose, a disegnare fumetti sul quaderno al riparo della schiena del compagno di fronte. I professori non mi scoprirono mai. Ma le materie scientifiche, che non mi attraevano, non le so ancora oggi. Il risultato e che i miei compagni meno “furbetti” di me oggi sono ingegneri e primari in pensione, mentre io annaspo in piena crisi della carta stampata. A quei tempi rischiavi una sospensione se scoperto. E un sacco di mazzate da parte di tuo padre. Sì, perché scuola e famiglia erano alleate per far sì che tu mettessi a frutto sul serio gli anni scolastici, unica chance per i meno abbienti di uscire dalla condizione proletaria. Oggi, si sa, è il Tar che decide chi deve essere promosso e quale voto debba avere. Per cui, la domanda è: a che serve più la valutazione dell’insegnante e a che servono gli esami? Si demandi il tutto, ufficialmente, ai giudici amministrativi. Così che la magistratura occupi anche questo settore, e alla fine del processo un referendum stabilirà che il tricolore italiano venga sostituito da un drappo nero bordato oro.

Il cellulare in classe resterà, anche perché i ragazzi troveranno il modo di portarselo dietro. Ma tutto rimarrà come prima: alcuni lo useranno per trovare le risposte e le soluzioni su wikipedia, altri guarderanno video porno, altre manderanno cuoricini al drudo e altre ancora chatteranno allo sfinimento. Per un certo periodo, per sopravvivere, ho fatto l’insegnante di liceo. Ricordo che, aggirandomi tra i banchi, mi avvidi che una aveva incollato una foto in grandezza naturale della faccia di Fiorello sulla copertina del manuale di economia politica (la mia materia). Accortasi che guardavo, spiegò: «È bellissimo!». Guardai di nuovo la foto e pensai: «Contenta tu…». Immaginate se avesse avuto un cellulare. Di episodi del genere furono pieni i miei anni docenti (ho messo tutto nel mio libro L’ombra sinistra della scuola, prima Piemme e ora Chorabooks).

Perciò, dato che la qualità dei gggiovani è in discesa («stay fools!») e dato che non pochi ragionano ormai così: «Se studio, vado a fare il driver, se faccio il maneskin ci sta che divento ricco», ma sì, lasciateglielo il cellulare in classe. Tanto, se glielo levate arriva il Tar.

Rino Cammilleri, 22 dicembre 2022