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Il Coronavirus rischia di infettare anche la nostra economia

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Se la fabbrica del mondo si ferma, causa virus, sono guai. Ovviamente. Soprattutto se quella fabbrica oggi non produce solo prodotti a basso valore aggiunto e con ridotta tecnologia.

Wuhan è completamente bloccata e la provincia di Hubei pure: da sole producono la ricchezza annuale della Polonia, per dare una dimensione. Gli impianti e i dipendenti sarebbero dovuti tornare in fabbrica ieri, ma il governo ha deciso di mantenere lo stop fino al 10 marzo. E le conseguenze si fanno sentire anche per le grandi aziende mondiali. Apple è stata la prima grande corporation ad annunciare che i conti del primo trimestre del 2020 saranno inferiori a quanto previsto; a causa del Coronavirus venderà infatti meno telefonini, sia per la ridotta domanda sia per le difficoltà di produzione. Con le debite proporzioni le cose non sono rassicuranti nel pensare che il virus sia arrivato nelle due regioni più produttive d’Italia: Lombardia e Veneto.

Dividendo in tre, in modo del tutto arbitrario, le economie mondiali, possiamo vedere quali conseguenze comporterà la temporanea chiusura della Cina per malattia.

La prima economia, che poi è l’ultima in termini di crescita, è quella italiana. Abbiamo una forte componente meccanica e l’industria ancora ha un forte peso nella nostra ricchezza generata in un anno. Ebbene, il paziente non si è ancora ripreso, e anche uno starnuto, e quello cinese non lo è, può comprometterne la ripresa. Non è un caso se per la prima volta in un lustro anche la produzione industriale dalle nostre parti è passata in terreno negativo. Diciamolo senza giri di parole: l’Italia rischia di brutto se la gelata cinese dovesse continuare. E se soprattutto si dovesse inceppare la sua macchina produttiva.

Nel secondo gruppo mettiamo gli Stati Uniti. A differenza nostra va alla grande, l’occupazione cresce, il tasso dei senza lavoro è a livelli fisiologici, e il prodotto cresce. I mercati, che per gli americani rappresentano la forma più importante di risparmio, girano alla grande. Ma il paziente zero Apple preoccupa la Casa Bianca. È anno di elezioni e la frenata della Borsa (solo dopo, in genere si vede lo stop nell’economia reale) costa qualche punto di consenso elettorale. Il cui costo è tanto maggiore quanto peggiore è il rallentamento dei mercati finanziari. Questo Trump lo sa bene, ecco perché oggi la Cina lo preoccupa più per le conseguenze che può avere il suo stop in America che per le quote di mercato che le sue corporation possono eventualmente guadagnare in questi tempi.

Finalmente arriviamo alla Cina e alle conseguenze del virus sulla sua economia. Sono debitore della riflessione che segue a Donatella Principe (Director market and distribution strategy di Fidelity International) che mi sembra rimetta le cose nella giusta prospettiva: «La Cina oggi è un’economia da 14,324 miliardi dollari. Questo vuol dire che, qualora si verificasse l’ipotesi di crescita nel 2020 del +5% (effettivamente il tasso più basso dal 1990), l’economia aggiungerebbe alla dimensione del suo Pil altri 716 miliardi. Praticamente la crescita di Pil più bassa dal 1990 sarebbe pari a quasi due volte tutto il Pil del 1990». Insomma nel 1990, non un secolo fa, la Cina aveva un Pil di 361 miliardi, e quest’anno è destinata a crescere il doppio di quella cifra.

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