C’era una volta il giornale della borghesia produttiva, si chiamava Corriere della Sera. Sempre ben annidato nei gangli del potere repubblicano (del resto, un tempo la borghesia produttiva era contigua al potere, non era il nemico principale di questo, come avviene nell’Italia del miracolato Conte e dell’ipermiracolato Casalino, e guardacaso i fondamentali economici andavano meglio), ma anche portatore di una visione del mondo nitida, orgogliosa, a volte perfino eterodossa, temperatamente liberale piuttosto che ferocemente statalista, capitalista di rito ambrosiano piuttosto che arruffona di rito romano, borghese, appunto, in un Paese che ha sempre guardato la borghesia con sospetto.
In ogni caso, preistoria dell’informazione: da tempo, infatti, il Corriere della Sera ha assunto le vesti di un inserto, più paludato e meno ficcante, del Fatto Quotidiano. Oggi c’è stata la certificazione ufficiale della fusione (che è in realtà l’assorbimento del Corriere sotto la ragione sociale travagliesca), con l’identica lettera inviata dalla Pochette facente le funzioni di premier ai due organi ufficiali del governo giallorosso, e solo a quelli. Appunto, il Fatto e (in sedicesimi, con l’affanno perenne che ha la copia nei confronti dell’originale) il Corriere della Sera. Il contenuto dell’epistola consiste in una serie di supercazzole contiane già ampiamente orecchiate attorno al “Recovery Plan” per l’Italia, ma è totalmente irrilevante (vi diciamo solo che gli inventori del reddito di cittadinanza si dichiarano “al lavoro per la modernizzazione del Paese”, e un brivido corre lungo la schiena della famosa borghesia produttiva, o di quel che ne resta).
Quello che conta è il messaggio: il Fatto e il suo dorso noioso, appunto il Corriere, si mettono mediaticamente a guardia di Palazzo Chigi. Cioè, solo per stare alla cronaca (nera) recente, di chi ha obbligato le imprese a indebitarsi con le banche per superare la crisi (mentre tutto il mondo avanzato pratica l’Helicopter Money di Milton Friedman, robaccia da liberisti), di chi ha esteso di due anni il periodo nel quale l’Agenzia delle Entrate italica (notoriamente, campionessa di equilibrio e garantismo) può effettuare controlli su questi mesi di lockdown, di chi ha avuto la geniale idea di fissare per legge il prezzo di un bene in regime di scarsità (le famigerate mascherine di Arcuri), di chi ogni giorno s’inventa pratiche a metà tra la Germania Est e la Cina postmaoista, vedi le milizie degli “assistenti civici” create dal compagno Boccia.