Ci sono due modi per i progressisti di distruggere la tradizione e l’identità occidentale. Una esaltando i sabba anti statue, come ha fatto incredibilmente lo storico Simon Schama sul Financial Times. L’altra è quella di trasformare i monumenti metaforici del passato e le grandi figure, spacciandole per anticipatrici dell’attuale liberal libertarismo “anti razzista”, pro Lgbt, pro gender, multiculturalista e diversitario. Trasformare nel vero senso del termine: i nostri grandi, che hanno costruito il canone occidentale, diventano cosi delle sorta di trans.
Ne ha fatto le spese pure il povero Dante Alighieri. Che, secondo Teodolinda Barolini, statunitense ma di origine italiana, docente alla Columbia University, intervistata dal Corriere della Sera del 13 giugno, sarebbe un innovatore: non tanto nella poesia, ma nelle sue visioni sociali. Un Dante “senza Dio” (come cita il titolo di un suo libro), un Dante pro gay, un Dante femminista, anzi gender, un Dante aperto all’”altro”, un Dante insomma «progressista» come dice la studiosa. Anzi, più che dire, risponde, visto che le domande dell’intervistatore, Paolo Di Stefano, sono tendenziose assai, e quasi non si riesce a capire se a parlare sia più lei che il Corriere.
Ma come? Il Dante poeta cristiano per eccellenza, che inserisce i sodomiti e Maometto e Alì all’Inferno, un Dante per cui la donna è il simbolo della caritas, dell’amore discendente di Dio, trasformato in un liberal ateo e nichilista qualsiasi? E di Donald Trump, cosa avrebbe pensato? Paolo Di Stefano non si spinge fino a chiederlo ma l’impressione è che per i due Dante sarebbe stato contro, avrebbe partecipato alle manifestazioni di Black lives matter, e magari preso d’assalto le statue di Cristoforo Colombo.
Di Dante, come di tutti i grandi classici, si è spesso fornita una lettura in un certo senso strumentale e attualizzante. Il XIX secolo ad esempio lo trasformò nel poeta della Italia nuova, precursore del Risorgimento: era una interpretazione tendenziosa ma non completamente assurda. Quella di strumentalizzare i classici era anche una specialità dei comunisti: che dipinsero Ugo Foscolo e Giacomo Leopardi come proto socialisti. Ma persino loro, di fronte a Dante, si fermarono. Anzi, un poeta e studioso comunista come Edoardo Sanguineti scrisse un libro niente affatto anti dantesco eppure intitolato Dante reazionario: perché rispetto al suo tempo Dante era davvero politicamente un conservatore, come lo definisce anche uno dei più importanti studiosi contemporanei del poeta, Marco Santagata. Non a caso la grande cultura di destra, conservatrice e “rivoluzionario-conservatrice” del Novecento ha sempre guardato a Dante, come a un modello etico-politico oltre che stilistico: pensiamo, solo per fare due nomi, a Ezra Pound e a Thomas Stearns Eliot.
Il problema dei progressisti, dei liberal libertari pro gender, pro Lgbt, “anti razzisti”, cioè in sintesi anti occidentali, è che quasi tutta la grande cultura, almeno fino al XX secolo, è “di destra” o “conservatrice”, come direbbero loro. Sono infatti loro, i liberal libertari, ad essere degli alieni estranei all’Occidente. Solo che dai posti di comando dei media globalisti e delle università stanno cercando di compiere l’operazione orwelliana di ricostruzione del passato e di lavaggio del cervello.
Ma allora, se proprio dobbiamo scegliere, tra i pseudo raffinati intellettuali eredi dei radical chic ridicolizzati a suo tempo da Tom Wolfe e le scimmie anti monumenti preferiamo le seconde, perché meno ipocrite. Vogliono distruggere la nostra identità: ma almeno ce lo dicono chiaramente senza tentare di fregarci.