Il direttore della Prevenzione del Ministero della Salute, Gianni Rezza, nella consueta conferenza stampa sulla situazione epidemiologica, rispondendo ad una domanda sull’incisività della chiusura delle scuole nella mitigazione epidemica, ha affermato che «mancano studi che ci permettono di identificare con esattezza luogo e attività che determinano l’infezione».
Le dichiarazioni del direttore Rezza certificano il lacunoso modus operandi del Comitato tecnico scientifico, che formula indirizzi di comportamento ignorando la sorgente da cui si genera la diffusione epidemica. Ammettere di non sapere dovrebbe essere una virtuosa dote socratica, rappresentando uno stimolo all’indagine per colmare il deficit di conoscenze e così liberarci dai nostri limiti.
Tuttavia, il “non sapere” di Rezza non incoraggia il superamento dei limiti, semmai ne estende la portata, obbligando milioni di cittadini a rinunciare alla socialità senza il conforto della fondatezza scientifica che stabilisca la correlazione fra i contagi e la fruizione degli spazi pubblici come le scuole. Non si dubita della necessità di adottare le inevitabili misure contenitive del virus e delle sue varianti, che ne hanno modificato il codice originario, ma da un esponente del Cts e responsabile apicale della prevenzione sanitaria ci aspettiamo un resoconto puntuale e scientificamente plausibile sulle cause che stanno provocando il rialzo della curva epidemica.
L’incertezza sulla capacità di identificare i luoghi e le attività che provocano l’infezione comunica alla popolazione un senso di impotenza con l’aggravante di essere asserviti a provvedimenti restrittivi con la probabilità che possano essere infruttuosi nella lotta al virus. La confessione di Rezza è disarmante e ci rende ancora di più consapevoli che solo l’arma del vaccino può garantire l’immunizzazione collettiva e restituirci la libertà di convivere con i limiti e non esserne sopraffatti.
Andrea Amata, 6 marzo 2021