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Il ddl Zan spiegato a Fedez

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Non sappiamo se Fedez abbia mai letto il ddl Zan. Né se, avendolo letto, l’abbia capito, o se tutto il suo attivismo conformistico, organico alla sinistra delle superstar, sia in fondo un’operazione di marketing. Ma visto che la Rai, lungi dal censurarlo, gli ha anzi permesso di imbastire un comizietto senza contraddittorio, può essere utile spiegare a lui e, per interposti Ferragnez, ai lettori, cosa c’è di aberrante in una legge inutile e pericolosa. Che peraltro, a differenza di quello che crede il signor Federico Lucia, i parlamentari hanno tutto il diritto di sabotare in Senato, anche con l’ostruzionismo.

Lo Stato nelle mutande

Punto primo. Lo sa, il prode Fedez, che il ddl Zan pretende di imporre per legge una definizione “genere”, “orientamento sessuale” e, addirittura, “identità di genere”, concepita come “l’identificazione percepita e manifestata di sé in relazione al genere, anche se non corrispondente al sesso”? Non trova egli agghiacciante che il Parlamento si occupi di organi genitali e “manifestazioni” della sessualità? Perché c’è bisogno di usare la legislazione per cristallizzare un’antropologia, peraltro discutibile? Capiamo che lui e consorte siano abituati a lasciar entrare il pubblico persino nei loro gabinetti. Ma è giusto lasciar entrare lo Stato nelle nostre menti e nelle nostre mutande?

Il pericolo liberticida del ddl Zan

Punto secondo. È consapevole, Fedez, che la clausola salva idee non stempera affatto il potenziale liberticida del ddl Zan? L’articolo 4 esclude, sì, la punibilità della “libera espressione di convincimenti od opinioni nonché le condotte legittime riconducibili al pluralismo delle idee o alla libertà delle scelte”. Ma chiarisce: “Purché non idonee a determinare il concreto pericolo del compimento di atti discriminatori o violenti”.

Così, la legge rischia di dare adito a una serie interminabile di denunce temerarie, precipitando nell’incertezza giuridica chiunque difenda posizioni difformi dall’ortodossia arcobaleno. Attenzione: il ddl non parla di idee che conducono direttamente a discriminazioni e violenze, cioè istigazioni a commettere reati. Parla di idee “atte a determinare il pericolo” che si compiano quegli atti. Ma chi e come stabilisce che sussista quel pericolo e che quella precisa opinione lo abbia provocato?

Il bavaglio alla stampa

Ad esempio: scrivere su un giornale che gli omosessuali non dovrebbero poter adottare un bambino determina o no il pericolo che qualcuno compia atti discriminatori o violenti? Ne diciamo una ancora più grossa: un omosessuale cattolico, difendendo apertamente la “libera scelta” di astenersi dalle pratiche sessuali cui lo condurrebbe la propria natura, determinerebbe o no il pericolo che qualcuno compia discriminazioni o violenze?

Nella migliore delle ipotesi, il ddl Zan sarebbe inutile, perché finirebbe per non punire nessuna condotta che già non sia reato. Nella peggiore – quella che noi temiamo – si trasformerebbe in un osceno bavaglio. Su queste delicate questioni, che raffinate opinioni hanno maturato i coniugi Lucia-Ferragni?

Indottrinamento nelle scuole

Punto terzo. Che ne dice, Fedez, della Giornata nazionale contro le varie “fobie”, che coinvolgerebbe anche le scuole? Gli studenti saranno sottoposti a “cerimonie, incontri” e altre iniziative, tutte rientrati nel quadro dell’offerta formativa curriculare. Cosa ci sia dietro questo articolo 7, lo aveva spiegato candidamente Michela Murgia e noi lo avevamo subito sottolineato: con la scusa di “insegnare ai bambini a non discriminare”, come ha detto ieri a Quarta Repubblica Emanuele Fiano, cercheranno di infilare l’educazione gender nel percorso scolastico. Con un’aggravante: mentre oggi i genitori hanno il potere di sottrarre i figli alle molteplici trovate di qualche insegnante zelante, domani questo potere non ce l’avranno più. La formazione dei loro ragazzi diventerà proprietà delle sigle del mondo Lgbt, puntellate dalla forza pubblica.

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