La conferenza stampa sulla cosiddetta Fase2 del presidente del Consiglio ha decretato la morte di qualche decina di migliaia di imprese, per lo più piccole. Sono morti invisibili: il nostro ceto produttivo è all’agonia, e domenica sera ha scoperto che il presidente del consiglio “potrà ulteriormente chiudere i rubinetti”, con l’“ammirazione” di tutta Europa.
Il clima retorico di Palazzo Chigi è lontano anni luce da quello che sta avvenendo nel Paese reale. I primi tre mesi dell’anno hanno visto la chiusura di trentamila imprese (9mila in più rispetto all’anno precedente). Ma è un dato per difetto: le aziende in pericolo sono più di 500mila. Sono bloccate ad esempio le procedure concorsuali, per dirne una. Siamo costretti ad usare un nuova parola, lockdown, per descrivere un cataclisma che la lingua della civiltà non riesce a spiegare: così come la premorte di un figlio non ha una sua parola nella nostra bellissima lingua, così l’inconsapevole (speriamo) assassinio dell’attività privata, senza una norma di legge, non ha una sua descrizione commerciale.
È difficile elencare tutti i settori economici che dovranno rimanere fermi fino al primo giugno. Dai servizi alle persone alla tolettatura per animali, dai ristoratori ai baristi, dalle autoscuole ai negozi di prossimità, ma la lista è infinita, come complesso è il mercato. Che la nostra folle politica ha voluto cancellare definendolo con i cosiddetti codici Ateco, strumento statistico, già assurdo per le pratiche fiscali e burocratiche, e oggi ancora più superficiale.
Il principio che il comitato di salute pubblica in perfetta sintonia con il rinnovato potere dei sindacati ha fatto proprio è l’irresponsabilità dell’imprenditore. Sono sindacati, medici e politici che decidono (“consentono” è la parola chiave di Conte) quali professionisti e lavoratori autonomi potranno riprendere. Non comprendendo che tra dipendenti pubblici, che circondano Palazzo Chigi, e ceto produttivo esiste una differenza. I primi sono a stipendio pieno, illicenziabili, possono avere permessi per i figli a casa, e vista l’arretratezza della nostra pubblica amministrazione considerano lo smart working più o meno una barzelletta (sì, sì, domani si alzerà qualcuno offeso raccontando la propria eccellenza). I secondi vivono in aziende da pochi dipendenti, lavorano con minori tutele, sono licenziabili e soprattutto alla fine del mese se il fatturato è zero, se ne vanno a casa. Migliaia di imprese morte. Nessuno piangerà per loro. Il loro funerale non vedrà neanche la presenza dei quindici parenti permessi dal ministero.
C’è l’arroganza di una classe politica (con le dovute eccezioni) che parrucchieri e commesse, partite Iva e lavoratori autonomi semplicemente non considera.
Nicola Porro per Il Giornale, 28 aprile 2020