C’è sempre qualcuno che racconta che non c’era alternativa, che non si poteva fare diversamente. No, non è così. Al contrario, è sempre il caso di tenere a mente che era stato proposto un approccio totalmente diverso al Coronavirus, cercando di tenere il nostro Occidente alla larga da risposte – in primo luogo, quella del lockdown strisciante e generalizzato – naturaliter adatte a regimi illiberali e non basati sul mercato.
Si è voluta ignorare in modo pervicace (tranne pochi spazi, tra cui questo sito) la grande Dichiarazione di Barrington in cui non improvvisati negazionisti o qualche inaffidabile demagogo, ma fior di scienziati scongiuravano la classe politica di proteggere i più vulnerabili, di tutelare i più fragili, consigliando loro di stare in casa e mettendoli in condizione di poterlo fare, ma – al tempo stesso – chiedevano di consentire a tutti gli altri, al grosso della popolazione attiva, di vivere una vita normale quanto possibile, senza ammazzare l’economia e senza produrre altri danni sanitari devastanti (in termini di altre patologie non curate, non presidiate, nemmeno diagnosticate).
E invece abbiamo lasciato che avvenisse in tante nazioni (l’Italia, al solito, è stata il paese pilota delle soluzioni peggiori) la più grande restrizione delle libertà nell’ultimo secolo (eccezion fatta per i maggiori eventi bellici), accompagnata dalla più imponente espansione della potestà autoritativa della mano pubblica.
Il tutto con un argomento fallace, ingannevole ai limiti della presa in giro: facciamo un sacrificio adesso, e poi si potrà “convivere con il virus”. È passato oltre un anno e a che punto siamo? Proprio ora, quando sarebbe indispensabile tale “convivenza”, immaginando protocolli di ragionevole riapertura in parallelo con il dispiegarsi della campagna vaccinale, siamo invece alle prese con nuove restrizioni.