Il fondamento di ogni religione è il dogma. Partendo da tale assunto, dobbiamo convenire sul fatto che la nuova religione politico-mediatica degli eredi italiani del collettivismo novecentesco abbia il suo forse principale dogma nell’antifascismo. E come tutte le religioni integraliste, in cui la società viene divisa tra buoni e cattivi, democratici e antidemocratici, identificando questi ultimi come il male assoluto, non c’è ovviamente spazio per l’utilizzo di un sano spirito critico: o si sta con il bene democratico che lotta per la libertà, o si parteggia per il male antidemocratico, le cui moderne propaggini storiche sono giunti fino ai giorni nostri attraverso la nascita del primo governo di destra della Repubblica.
Questa, in estrema sintesi, la narrazione assolutamente strumentale che i partiti dell’opposizione di sinistra stanno utilizzando a piene mani da quando Giorgia Meloni, lontana erede dei fondatori del vecchio Movimento Sociale Italiano, si è insediata a Palazzo Chigi.
Sebbene si tratti di una colossale frottola, assolutamente strumentale, ad uso e consumo delle tante anime belle che ancora credono ad una simile visione manichea della politica, come osservatore non mi posso certo scandalizzare di una scelta strategica la quale, in assenza di argomenti forti da portare avanti, rappresenta una specie di piccolo salvadanaio di consensi pronta cassa, se così vogliamo dire, per Elly Schlein & company.
D’altro canto, quando ci si trova all’opposizione il contatto con la realtà tende a perdersi, soprattutto nei momenti nei quali pochi decimali nei consensi possono decidere la sorte di una già traballante segreteria.
A tale proposito vorrei segnalare che la stessa Giorgia Meloni, quando Fratelli d’Italia viaggiava sull’orlo dell’estinzione, ha raccontato a lungo cose che oggi, nei panni di una premier chiaramente responsabile, non si sognerebbe neppure di pensare. Ricordo di aver ascoltato di persona un suo stupefacente intervento, insieme a Matteo Salvini e Silvio Berlusconi, a Perugia, nel quale si condensavano molte indigeribili tesi sovraniste e complottiste, tra cui la stupidaggine assoluta del cosiddetto franco coloniale.
Ora, finché simili strumentalizzazioni vengono utilizzate dai politici di professione nulla da eccepire. Ciò fa parte del gioco democratico.
Ma quando a farlo sono intellettuali, studiosi, docenti universitari e attori, come nel caso di tal Luca Marinelli – interprete di Benito Mussolini in una fiction, che al pari di Giuseppe Cruciani ammetto di non averlo mai sentito nominare in precedenza – la cosa appare piuttosto grave, a prescindere dal loro particolare orientamento politico e culturale.
Costoro, che per definizione dovrebbero possedere una buona dose di spirito critico, tale da renderli meno suscettibili alle forme più smaccate di propaganda politica, nel momento in cui assumono, più o meno consapevolmente, il ruolo di utili idioti della cosiddetta cultura alta sviliscono profondamente la loro figura professionale.
Lo fa lo storico che demonizza totalmente il fascismo, dimenticando l’enorme consenso che quest’ultimo lo accompagnò durante gran parte del ventennio, e lo fa anche l’attore celebrato che, forse ignaro della estrema complessità di una vicenda storica che non si può riassumere solo sulla figura controversa del Duce, identifica quest’ultimo come un mefistofelico personaggio in grado di corrompere l’integrità di chi lo interpreta.
Sta di fatto che questi cosiddetti esponenti di una cultura veramente tutta d’un pezzo, anziché portare un contributo critico nella rilettura di un periodo ancora molto da scandagliare, pieno di luci e ombre, non fanno altro che contribuire alla rimozione storica dei tanti motivi che, nel bene e nel male, condussero il Paese alla catastrofe del secondo conflitto mondiale.
Claudio Romiti, 14 gennaio 2024
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