Che valore ha la libertà? Qual è il prezzo che paghiamo per essa? Nel corso della lunga e un po’ miserabile storia dell’umanità la libertà non è sempre stata considerata qualcosa di dovuto, un dono connaturato col solo fatto di nascere. Tuttora, chi nasce in certe zone del mondo non conosce, e in molti casi non vuole conoscere, la libertà. Libertà di parola. Libertà di pensiero. Di culto. Di poter scegliere chi amare e di non andare a morire per assecondare la volontà di qualche tiranno.
Oggi, per consegnare un valore a queste conquiste nient’affatto scontate, siamo chiamati a scegliere. Scegliere se stare dalla parte di chi ci assomiglia, per quanto possa sembrarci duro e spietato, o affiancare chi, nel sostrato stesso del suo essere, nega e rifiuta quelle libertà che a noi paiono ovvie caratteristiche della vita civile.
Questa guerra arriva dopo un’altra guerra, più complessa e articolata, tra due civiltà simili. I motivi si ramificano toccando una galassia di questioni che sarebbe tedioso elencare. Ma questa guerra è diversa. Una guerra tra chi vorrebbe solo esistere e chi nega all’altro il semplice diritto di esistere. Gli nega il diritto di essere su questa terra. Una guerra dove non si è solo nemici ma dove uno rappresenta la negazione dell’altro.
Hamas, che non è solo un’organizzazione terroristica come qualcuno si ostina a credere, ma una vera e propria forza politica, prevede, nel suo statuto costitutivo, di uccidere gli ebrei ovunque essi si trovino. I finti moderati di al-Fatah, benché meno sanguinari, non si sono mai del tutto affrancati dai loro barbari compari. Hezbollah che, letteralmente, significa “partito di Dio”, compie da sempre attentati, pianifica rapimenti e stragi in nome di quello stesso Dio. Costoro rappresentano alcuni dei più temibili orrori usciti dagli anfratti della storia. Ben diversi per filosofia ed estremismo dagli altri stati che nel corso della storia hanno attaccato Israele, essi concepiscono come arma politica solo il massacro.
Vedono in Israele non un nemico da sconfiggere, ma una nemesi da distruggere. Vedono negli ebrei non degli esseri umani come loro, ma delle creature da eliminare, la loro stessa negazione. Per loro dare una patria a tutte quelle povere anime senza guida che sono i (cosiddetti) palestinesi coincide col rimuovere attraverso il massacro sistematico gli ebrei, colpevoli di aver occupato una terra non loro. Colpevoli di essere ebrei.
Colpevoli di essere uno stato democratico. Colpevoli di tenere in considerazione la vita umana tanto da non imbottire i bambini di tritolo e mandarli a farsi esplodere davanti a qualche luogo affollato. Colpevoli di permettere alle loro donne di essere donne e vivere la loro vita come vogliono. Colpevoli di non imporre il loro credo con la violenza e lo sterminio. Colpevoli di non essere islamici in un territorio che per secoli è stato dominato (si fa per dire) dall’Islam. Colpevoli di infedeltà.
Come siamo noi.
La storia del terrorismo islamico in America e nella vecchia Europa è lunga e gronda sangue innocente. Gli svedesi uccisi a colpi di kalashnikov a Bruxelles nel nome di Allah sono solo gli ultimi di una lunga e sanguinolenta lista. Le notizie che arrivano dai Kibbutz israeliani attaccati da Hamas sono così agghiaccianti da crederci a stento. In nome di che cosa si sono massacrati donne, vecchi e bambini? Già, i bambini.
Nemmeno Pol Pot, che in massacri non era secondo a nessuno, usava ammazzare con tanta enfasi i bambini. Decapitati, sgozzati, bruciati, crivellati a colpi di mitra, uccisi mentre erano ancora nei lettini o in braccio alle nonne che cercavano di tenergli chiusi gli occhi perché non vedessero che volto aveva la morte. Un missile distrugge tutto sul suo cammino; edifici, armi, persone. Un missile si può lanciare per colpire un obiettivo, la distruzione che ne segue è la tragica risultanza della guerra. Perché la guerra è così. Ma uccidere deliberatamente, scientemente degli innocenti non fa parte della guerra. No signori. È quello che facevano i nazisti. È quello che hanno fatto, e che fanno, i gloriosi partigiani palestinesi. Tutte le vite hanno valore. Non tutti i modi con cui si strappa una vita sono ammissibili. Nemmeno in guerra.
Eppure, anche nei paesi democratici, tali gesti vengono apprezzati. Vi si inneggia giustificandoli. Si parla di “vendetta”, di “rappresaglia”. Nelle piazze e nelle vie italiane in particolare, dato che alcuni paesi più civili del nostro hanno ben pensato di vietare simili osceni cortei, abbiamo assistito a manifestazioni talmente accese da far dubitare che si trattasse delle strade di un pese europeo.
Ragazze (ebbene sì ragazze!) infiammate di livore si ergevano sui palchi gridando “Intifada! Intifada! Intifada”. Per le strade queste stesse invasate berciavano insulti contro Israele chiamandolo stato fascista e terrorista. Ignare, queste poverine, che i palestinesi furono tra i più attivi alleati di Hitler durante l’ultima guerra mondiale. Ignare, queste sciocche, che se i palestinesi non hanno ancora avuto una terra dove esistere è anche e soprattutto a causa dei loro capi che mai hanno voluto negoziare con gli israeliani, anche dopo aver perso tutte, e dico tutte, le guerre contro di loro.
Ma esse sono così ignoranti. È talmente incredibile e talmente disgustoso vedere delle ragazze inneggiare ad Hamas che non si sa bene se compatirle o detestarle.
Queste nullità, che se mettessero piede a Gaza scapperebbero dopo pochi secondi perché non c’è corrente per caricare l’Iphone. Queste ipocrite, molte delle quali figlie di immigrati venuti in questo paese per poter far sì che le loro figlie potessero dire tutte le boiate che volevano senza timore. Queste ingrate che si abbeverano alla stessa fonte di libertà che vorrebbero negare agli israeliani. E mentre questi scandalosi cortei sfilavano per le nostre città, la comunità ebraica di Milano emanava una circolare, un angoscioso ammonimento che esortava gli ebrei a uscire di casa il meno possibile, a nascondere la Kippah, a non far salire i corrieri fin dentro casa, a frequentare solo luoghi frequentati da altri ebrei, a non farsi vedere troppo in giro. Neanche fossimo tornati ai tempi del ghetto di Varsavia.
Ebbene, signori, per tutti questi motivi è arrivato il momento di scegliere. Il mondo arabo, più o meno compattamente, ha scelto di unirsi contro Israele. Larghe fette della popolazione delle città europee ha fatto lo stesso. Ora tocca a noi. Tocca a noi decidere se stare dalla parte di chi condivide i nostri stessi ideali di civiltà o inneggiare a chi nega tutto questo in nome di un fanatismo che sa tanto di desiderio di conquista.
Oppure, ancora peggio, rimanere “al di sopra delle parti”. Qualcuno è riuscito persino ad affermare che il terrorismo palestinese, quello che usa donne e bambini come armi umane, è figlio di una politica sbagliata di Israele. Del suo presunto imperialismo.
Qualunque siano le ragioni, qualunque sia la guerra da combattere, chi sceglie di massacrare innocenti anziché obiettivi militari merita solo di essere distrutto.
Per questo stavolta è diverso. Non ci si può nascondere più dietro alla parola Pace. La pace è, da molto tempo, un ideale irraggiungibile. Un concetto astratto. Una perduta speranza, o, più spesso, una nebbia per nascondere ben altri propositi.
Un gingillo da anime belle. La storia non si muove tramite intenti pacifici ma attraverso la volontà. Essa si manifesta negli scontri, nelle lotte e nel conflitto.
La storia è un lungo tunnel buio, pieno di dolore e urla. Ma è qui che noi nasciamo e qui che dobbiamo stare. Per questo bisogna scegliere. Non per cieca tifoseria, non per opportunismo o simpatia. Ma per affermare con forza in cosa si crede e lottare contro coloro che lo negano attraverso la violenza. È il prezzo che si paga per essere liberi. Verrà il momento in cui si valuteranno gli errori di Israele, le mancanze dei suoi leader, la sua impreparazione, ma non è adesso.
Il più assoluto disprezzo cada verso coloro che, nei momenti di crisi morale e valoriale, rimangono neutrali o scelgono di nascondersi dietro ad un comodo pacifismo.
L’ignavia è la malattia dell’Europa. L’inconsistenza la sua conseguenza.
Israele siamo anche noi. Cerchiamo di non dimenticarlo.
“Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo! Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca.” Apocalisse, 3 versetti 15-16
Francesco Teodori, 21 ottobre 2023