di Toni Capuozzo
L’avevano annunciato come un discorso storico, quello di ieri di Zelensky al Parlamento in seduta congiunta. L’ho ascoltato, e ho pensato che quei quattro assenti, pur sbagliando perché si ascolta e si rispetta il rappresentante di un popolo che soffre, non si erano persi niente, quanto a storia.
E anzi mi son chiesto se fosse autentico o perfettamente recitato il tono dimesso di Zelensky. Niente rimproveri come davanti ai tedeschi, niente paragoni impropri come davanti agli israeliani, niente arrivano i nostri come davanti al congresso americano. No, il discorso a tratti orgoglioso, ma più spesso dolente, di qualcuno che ti racconta la guerra dal basso, con i suo orrori, quelli inevitabili e quelli che nessuno fa nulla per evitare. Non ha chiesto armi, non ha chiesto la liberazione dei cieli, ha detto solo che la sua battaglia è quella di tutta l’Europa, che lo fa anche per noi.
Ci si era chiesti quale sarebbe stato il “taglio” italiano, per un oratore che ci ha abituati a confezionare il suo discorso su misura per pubblici diversi. Si è limitato a citare Genova, perché si affaccia al mare, come Mariupol (ma tanto è bastato per provocare un orgoglioso tweet del governatore Toti) e Roma, come simbolo delle capitali che appartengono un po’ a tutto il mondo. Citazioni un po’ stranianti perché le distruzioni di Genova sono quelle, nel 1942, fatte dagli alleati. E Roma a Kiev hanno poco in comune: una ha strade che ovunque convergono su di essa, l’altra ha bisogno di corridoi umanitari che salvino i civili, portandoli fuori.
Mi è sembrato che il taglio “italiano” fosse nel tono del discorso, nel peso dato agli aiuti umanitari, all’accoglienza. E che ci fosse la cautela di non incolpare la Russia intera, e dunque un popolo (che agli italiani è caro per storia, musica, letteratura, cinema, e perfino per come i civili trattarono i nostri alpini mandati a invadere) ma un uomo, un uomo solo, innominato, dell’aggressione. Ha parlato agli italiani brava gente, o che si credono tali, o sono visti come tali. Ho ascoltato Draghi, e si capiva che le guerre non sono la sua materia. Ha quasi rischiato di sottrarre la scena al presidente assediato, si vedeva che è abituato a parlare di tagli e sacrifici, non di eroismi. E’ tornato se stesso solo quando ha detto che l’Ucraina deve entrare in Europa, ma in tempi lunghi, rispettando l’iter, non si salta la fila.