Esteri

Il dubbio di Capuozzo: “Era autentico il tono di Zelensky?” - Seconda parte

Il presidente ucraino non ha chiesto armi né “no fly zone”. Ecco il “taglio italiano” del suo discorso

Poi sono andato a sedermi in un giardinetto di un tardo mattino romano di sole. Era come un presentimento, perché lì mi ha raggiunto la telefonata di un amico, che mi ha detto di essere stato a un funerale, e io non sapevo neanche della morte. Sergio Canciani, che ricorderete corrispondente Rai da Mosca (posso sbagliarmi, ma dev’essere stato uno dei primi a parlare di Putin come di un nuovo zar). La conoscenza del mondo slavo, in lui, non era solo studio e letture, ma una trama di vita vissuta, a Trieste. L’avevo visto in forma imperfetta, l’ultima volta, al castello di San Giusto. Ma era solo una lentezza fisica. Ad ascoltarlo era sempre lo stesso. Colto senza esibizione, ironico senza cattiveria, lucido sino alla spietatezza nelle analisi, fatte con l’empatia di uno che ha visto appassire molte speranze nella vita.

Ho condiviso con lui giorni difficili in Bosnia e in Albania, e la sua presenza mi metteva un’allegria quasi disperata, nei giorni peggiori: era la dimostrazione che l’intelligenza è un’arma che ti mette a disagio, ma aiuta a sopravvivere. Adesso non c’è più, e abbiamo perso qualcosa tutti, noi che vogliamo capire quello che succede in Russia e nei dintorni. Ciao Sergio, un giorno berremo una buona bottiglia, nei purgatori dei vecchi cronisti. L’inferno e il paradiso, quello è per gli altri, i buoni e i cattivi.

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