Rassegna Stampa del Cameo

Il fallimento della politica sul coronavirus

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Non ho alcuna pretesa di essere un analista politico, perché mi mancano due qualità: a) i fondamentali e l’esperienza del mestiere; b) una ideologia di riferimento (essere apòta ti marginalizza, com’è giusto che sia in un regime, come l’attuale). Il mio sogno, in questo fine corsa della vita, è quello di applicare il mio know how professionale per individuare, disegnare, applicare scenari di business e di management alla politica, esclusivamente nei momenti topici, quando politica, business, management si incrociano.

Mi pare che questo sia uno di quei momenti. Me lo dicono alcuni segnali deboli. Prendiamo un aspetto del coronavirus: come gestire il principio di precauzione. È chiaro che l’atmosfera è quella di una pandemia (anche se ufficialmente non è stata ancora dichiarata da OMS) e ciascuno di noi la vive secondo le sue sensibilità e le sue irrazionalità (siamo umani).

Un caso minimo. Un’amica accompagna la madre, soffrente di asma, a una Tac in un ospedale ligure. Nella sala d’attesa ci sono una decina di pazienti di varie etnie, lei ha un attacco d’asma ed emette un respiro sibilante, tutti (tutti) se ne vanno con destrezza, resta sola. Solo menti malate, esaltate da un momento politico che privilegia gli infatuati dell’odio (altrui) ai portatori di buon senso comune, possono definire questo razzismo. È banale principio di precauzione, di certo esteticamente fuori luogo, ma quei pazienti non potevano sapere che il respiro sibilante è sintomo di asma e non di potenziale coronavirus. Siamo umani, non dimentichiamolo mai. Nei salotti ZTL un portatore di sibilo asmatico non viene invitato, lo prevede il rigido protocollo

Di contro la comunità cinese radicata ha dato una dimostrazione di alto livello di civiltà sanitaria. Mentre i politici si insultavano in Parlamento, e nelle sue succursali (gli imbarazzanti giornali e i talk show politici, diventati ormai terminali populisti dei salotti radical chic), dilaniandosi sull’opportunità se i ragazzi (di ogni nazionalità) che tornavano dalle vacanze in Cina dovessero soggiacere alla classica quarantena (nella realtà 14 giorni, ora pare 24), la comunità cinese ha deciso di farlo autonomamente. Molti dei fighetti nostrani neppure lo sanno che in Oriente, da sempre, si mettono la mascherina per rispetto verso gli altri, non per se stessi (infatti non serve). La Scuola italo-cinese di Padova ha semplicemente comunicato alle famiglie: “I bimbi rientrati dalla Cina restino a casa per 14 giorni”. Esattamente ciò che aveva detto il professor Roberto Burioni in tempi non sospetti.

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