Politica

Il fantasma di Craxi spaventa il Pd

A 25 anni dalla morte del leader socialista ad Hammamet, la sinistra di oggi fa i conti con quel passato

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Uno spirito che non smette di parlarci. 25 anni fa, come oggi, Bettino Craxi lasciava questa terra esule ad Hammamet. Accanto a lui c’era la figlia Stefania che, per riabilitare la figura del padre, ha scalato le montagne. Chapeau! E dopo un venticinquennio i frutti si vedono, specialmente in queste settimane è tutto un fiorire di editoriali, libri e convegni. L’impressione che se ne coglie, però, per chi ha seguito e apprezzato la grande avventura umana e politica del leader socialista, è che il gran fermento odierno somiglia tanto ad un tardivo tentativo di riscatto da parte di chi, per anni, ha brandito l’ascia contro il “cinghialone”, copyright Vittorio Feltri, oggi il più garantista dei giornalisti italiani.

Ora, con onestà intellettuale, sia pure in punta di penna, lo riconoscono firme autorevoli come Aldo Cazzullo e Massimo Franco. Entrambi sono in libreria rispettivamente con Craxi, l’ultimo vero politico e la nuova edizione de Il fantasma di Hammamet, due saggi godibili e interessanti sul segretario del Psi, che della politica aveva fatto il suo vangelo. Poi c’è il memoir di Stefania Craxi All’ombra della storia – la mia vita tra politica e affetti, che sembra voler riannodare i fili tra la figura pubblica e il Bettino privato, lontano dagli strali giudiziari. Anche lo storico Andrea Spiri, con il volume Bettino Craxi – Lettere di fine Repubblica, offre un mosaico epistolare che dà il senso di quell’epoca irripetibile. E Fabio Martini, con l’accurato e un po’ nostalgico Controvento.

Ma se la stampa tenta la redenzione – con le solite note eccezioni – chi resta arroccato sulle sue posizioni è il Pd, figlio di quel Pci che ha legato la sua ultima storia a “Mani pulite”. Quel Pci che, proprio in quella stagione, fece passare un’amnistia tattica, mandando ipocritamente in soffitta miliardi di lire arrivati nelle casse di Botteghe Oscure dai fondi neri del Partito Comunista Sovietico. Incroci troppo pericolosi da chiarire. Cossiga parlava di partito dei “continuisti”. In questi anni, mai un leader del Pd è andato ad omaggiare la tomba di Craxi in Tunisia, dove è sepolto – per espresso desiderio della moglie Anna, una gran donna- con la testa rivolta verso l’Italia. Chiuso in una bara perfino troppo stretta per lui, nel cimitero cattolico di Hammamet, meta di migliaia di italiani in pellegrinaggio che vi posano anche solo un garofano rosso.

Stefania ne è orgogliosa, così come del grande lavoro portato avanti dalla Fondazione Craxi. In tanti le riconoscono la sacrosanta battaglia per un processo giusto, che non avrebbe dovuto essere uno spettacolo con la regia di tronfi Pm. «Ognuno è figlio della sua storia», disse un Bettino Craxi allora inconsapevole di quanto la sua vicenda personale e politica avrebbe finito per intersecarsi con quella del nostro Paese. Fu lui il primo a sfidare il sindacato sulla scala mobile vincendo il referendum; così come fu sempre lui il primo a parlare di due Stati tra Israele e Palestina o a denunciare, proprio come fa oggi Giorgia Meloni, le scorribande finanziarie di Soros. Eppure, Bettino resta un fantasma ingombrante. Un’ombra che ci ricorda quanto la politica, quella con la P maiuscola, abbia lasciato il posto alla post-politica, se non addirittura all’antipolitica, come scrive Massimo Franco.

Oggi siamo davanti ad un teatrino di ammiccamenti, smorfie e retoriche svuotate. “L’ultimo vero politico” lo chiama Cazzullo nel suo libro ricco di fotografie che raccontano quegli anni meglio di qualsiasi scritto. Ma non è solo nostalgia. È la consapevolezza amara che la politica, quella che rischiava, convinceva e divideva, come sapeva fare Craxi, anche a costo di scontrarsi con le istituzioni e con l’opinione pubblica, si è ridotta a raccogliere like. Chissà cosa avrebbe fatto Bettino in questi tempi “social”. E a proposito dei leader di quei giorni, c’è un’inesattezza che deve essere corretta. Secondo Cazzullo Craxi visse l’assoluzione di Andreotti a Palermo come il segnale definitivo della sua fine. Non è così, come autorevoli testimoni di quell’epoca mi hanno riferito. Craxi se ne rallegrò, poiché aveva sempre ritenuto il processo “tutte balle”, e il suo commento fu ironico: “Ora lo possono fare santo”.

Del resto, sui rapporti tra Craxi e Andreotti c’è un intero lessico: «Dalle volpi che finiscono in pellicceria» a «Meglio tirare a campare che tirare le cuoia». Fu proprio lo statista Dc a scrivere testualmente: «Vi è un certo numero di seminatori di zizzania e di calunnie che dovremmo mettere fuori gioco». Pochi sanno che per anni i due non hanno comunicato direttamente, lasciavano il compito ad emissari fidati, tra cui il funambolico ciociaro Peppino Ciarrapico. Così un giorno, Riccardo Sessa, consigliere diplomatico e futuro grande ambasciatore da Teheran a Pechino, suggerì ad Andreotti: «Ma perché non vi parlate direttamente?». E il ghiaccio fu rotto da Gennaro Acquaviva, in un incontro chiarificatore tra i due a Villa Madama che produsse una convergenza importante.

Nei giorni più tristi dell’esilio, Andreotti – che nutriva ammirazione per le intuizioni geniali di Craxi, in primis quella sul Concordato con la Chiesa, scrisse: «La vecchia volpe non finita in pellicceria prega il Signore perché aiuti l’antico cacciatore». La nuova edizione del libro di Massimo Franco Il fantasma di Hammamet, uscito per la prima volta nel 1995, merita di essere riletta soprattutto per un capitolo che è la sintesi perfetta di quel periodo. Quello dedicato a Luca Josi, “il giovane apostolo”, il ragazzo, oggi manager affermato, che fu come un’ombra accanto a Bettino, raccogliendo i suoi sfoghi e inviando quelle note via fax alle redazioni dei giornali, dove venivano derise e messe da parte da molti di quei giornalisti che oggi ne riconoscono la lungimiranza. Le pagine più illuminanti di quel capitolo sono quelle degli interrogatori a cui venne sottoposto dal magistrato che, per ironia della sorte, oggi è il pregiudicato Pier Camillo Davigo, ritenuto la mente più raffinata del pool di Mani pulite.

Il teorico del «Non ci sono innocenti, ma solo colpevoli da scoprire». Scrive Franco: «Davigo cominciò a strillare furibondo, l’apostolo Luca gli tenne testa. Sprizzando ostilità in quella sfuriata da fratello maggiore, ma con potere d’arresto, del magistrato milanese Josi vedeva una conferma di tutti i suoi dubbi sul pool di Mani pulite, delle inchieste contro il Psi craxiano, delle persecuzioni nei confronti del suo Messia, Bettino». Caro Bettino, caro Giulio, caro Silvio, siamo sempre allo stesso punto. Con una differenza rispetto agli anni ’80: oggi un italiano su tre crede che i magistrati abbiano sudditanza politica. Non ci resta quindi che sperare nella riforma del duplex Meloni-Nordio, augurandoci che Mattarella non si metta di traverso.

Luigi Bisignani per Il Tempo 19 gennaio 2025

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