“Speriamo presto”, dice Maria Sole Ferrieri Caputi, la prima donna ad aver fatto da arbitro ad una squadra di serie A, immaginando un futuro direttore di gara al femminile per una partita del massimo campionato. “Speriamo presto”, diciamo noi, alludendo alla speranza che un giorno si spenga il fuoco (di paglia) delle sciocche battaglie femministe sul genere delle parole. Oggi Maria Sole ci ha gettato sopra una secchiata d’acqua, vivaddio, rigettando al mittente la definizione di “arbitra”, declinazione femministicamente corretta in stile “sindaca” e “ministra” tanto cara alle Boldrini d’Italia.
Brutta settimana, quella delle femministe da tastiera. Prima Michelle Hunziker che smonta come un castello della Lego le teoria alla Murgia sull’uso della schwa neutra al posto del maschile e del femminile. E adesso l’arbitro di calcio, donna, fiera di fare il suo lavoro e di amare il calcio, che tratta i maschietti in campo come si confà ad un direttore di gara con gli attributi (si può dire?) e non si fa chiamare “arbitra”. Come vuole essere nominata? “Arbitro – dice in un’intervista al Corriere – Personalmente lo preferisco. Come preferisco sindaco a sindaca”. Il motivo? Semplice: “Novanta volte su cento, quando mi dicono arbitra è per sottolineare che sono una donna. Quindi preferisco arbitro”.
Ragionamento inoppugnabile, che porta con sé alcune consapevolezze. Primo, che la vera battaglia culturale da combattere è quella contro l’ignoranza di certi calciatori e allenatori, soprattutto in bassa categoria, che rivolgono insulti ogni due per tre al direttore di gara, anche con insulti sessisti: “Più sali di categoria e meno guardano questo aspetto, se sei uomo o donna. A livello professionistico paradossalmente è tutto più semplice”. Secondo, l’esigenza di mettere in riga papà, mamme e tifosi che gettano offese dagli spalti (“la voce sguaiata, l’insulto del tizio attaccato alla rete di un campetto con venti spettatori lo senti. E fa male”). Ma in quest’ottica non serve a nulla declinare al femminile una parola. Anzi. “Credo che quando non ci sarà più l’esigenza di sottolinearlo – dice Caputi – allora vorrà dire che ci sarà davvero parità”. Uno a zero e palla al centro.