C’è un vero rimosso nel Piano di ripresa e resilienza nazionale. Ormai ci siamo tutti convinti che il nostro Paese debba oggi colmare diversi gap: prima di tutto quello digitale e quello ambientale, perché ce lo chiede l’Europa; poi, altri e trasversali: il generazionale, il femminile, persino quello dell’identità di genere per alcuni (cioè dovremmo essere educati ad essere flessibili e plurali pure nelle scelte amorose).
La questione meridionale
Che invece del gap che ha accompagnato la nostra storia nazionale, diciamo almeno dall’inchiesta del 1873 di Sonnino e Franchetti (due “saggi” veri, tanto seri e scrupolosi da far arrossire quelli delle odierne task-force) fino a tutto il secolo scorso, nessuno più parli, può significare solo due cose: o che sia stato risolto; oppure che sia stato ugualmente risolto, ma perché cancellato con un tratto di penna. “La seconda che hai detto”, come diceva quel tale.
La frattura cui mi riferisco è ovviamente quella fra il Mezzogiorno e il resto d’Italia. E ad essere rimossa è proprio quella che un tempo, con termine anche stucchevole e ipocrita, si chiamava la “questione meridionale”. E se invece fosse proprio da lì che sarebbe stato opportuno ripartire, anche questa volta? Provando a non sbagliare, come è avvenuto nelle altre e precedenti. Si dirà: ma l’Europa? Oggi è quello il centro della nostra azione, non può essere certo il Sud assolato e arido delle mafie e degli sfaccendati. Non credo sia così, ma, se davvero a Bruxelles pensassero questo, bisognerebbe forse tirar fuori dalle biblioteche e spolverare i vecchi testi dei meridionalisti liberali. Ce ne son stati, e pure tanti. Beh, loro proprio in un’ottica europea intendevano risolvere i problemi del Sud: con non poche ingenuità, in verità, ma anche con la consapevolezza che l’Europa stessa da una crescita del Sud avrebbe avuto tutto da guadagnare.
Come finì la storia è risaputo: il clientelismo, la corruzione, l’intreccio fra potere e mafie, le illusioni e le disillusioni. Il Sud restò un’Italia di serie b, e anzi accrebbe il suo distacco dal resto del Paese. Le élite ne fecero un problema morale, quale sicuramente è anche e forse soprattutto, ma non certo nel semplicistico senso dei meridionali fannulloni, furbi, inetti. Individuo e contesto sono in un rapporto dialettico, e non vivono come monadi isolate come purtroppo pensano anche certi teologi liberali (ne esistono anche da questa parte).
5 Stelle, l’ultima illusione
L’ultima illusione per i meridionali risale a pochi anni fa, e ha avuto un nome ben preciso: Cinque Stelle. È al Sud che il Movimento di Grillo ha raccolto la più parte dei suoi voti: è lì soprattutto che ha funzionato la sua retorica essendo i meridionali in bilico da sempre fra il Vaffa e l’accomodamento clientelare, la rivolta contro la Casta e l’anti-Casta stessa che si fa tale a sua volta. Masaniello e Crispi, con tutte le complicazioni del caso. È la stessa parabola, o maledizione, che hanno percorso i Cinque Stelle, il cui secondo governo Conte (quello che ha veramente portato la loro impronta) era il più spostato a Sud, in quanto a componenti, di tutta la storia repubblicana. C’era persino un ministro del Mezzogiorno, giovane di età e preparato ma decisamente vetero comunista di testa, che voleva per il Sud rispolverare le più vecchie e fallimentari ricette assistenzialistiche e statalistiche.
Con Draghi, anche da questo punto di vista, si è voltato pagina. Il Ministero in questione è scomparso, il che non è un male, ma il fatto è che del Sud stesso più non si parla. Eppure, se la locomotiva riparte, è sempre lì che essa troverà una zavorra. Quelle energie vive che sono la forza del Nord, resteranno al Sud sempre latenti o nascoste dietro il comfort di un reddito qualsiasi, di rendita o di cittadinanza. Energie che ci sono e ben potenti, da sempre, come mostrano i tanti meridionali che hanno, nel passato meno e più recente, scelto la via dell’emigrazione. Lo Stato può molto: aiutarle a sprigionarsi, creare le condizioni di contesto adeguate. Favorendo la cultura liberale dell’impresa, non quella servile dell’assistenza. Non sembra ne abbia contezza o voglia. E l’Europa, lontana, come al solito pensa ad altro. E, come dimostra la gestione dei migranti, tutta addossata sulle spalle del Mezzogiorno d’Italia, di fatto sposta le proprie frontiere un po’ più in alto di quelle naturali o geografiche.
Corrado Ocone, 3 giugno 2021