Scusate, ma mentre nell’Italietta il partito scomparso dalle urne festeggia la vittoria elettorale e i leader dell’opposizione si rinfacciano le rispettive candidature sbagliate, fuori da qui è avvenuto qualcosina. Per esempio, un discorso alle Nazioni Unite del presidente della più grande democrazia globale, Donald Trump. Un discorso epocale, perché forse mai così esaustivamente quello che i media liberal ci presentano come un improvvisato col parrucchino aveva spiegato la sua visione dell’America, dunque del mondo. E lanciato le sue sfide geopolitiche, che non sono fumosa dottrina, ma urgenze dirimenti, chiariranno se vivremo liberi o a rischio internamento nei laogai cinesi, tanto per dire. Un discorso che i giornaloni hanno nascosto a pagina 23 e i tiggì accennato prima della pubblicità, pare che sia più importante per i nostri destini la probabile depressione di Michelle Obama.
Il doppiopesismo su Trump
Ebbene, proviamo a rimediare noi, che abbiamo molti difetti ma certo non la sudditanza alla narrazione modaiola, quella che vuole Trump come un restauratore del Ku Klux Klan. “75 anni dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, siamo ancora una volta impegnati in una grande lotta globale”, debutta secco il Potus. Infatti, e qui Trump persevera in un suo vizio politicamente scorretto, quello di dare alle cose il loro nome, “siamo impegnati in una feroce battaglia contro il nemico invisibile, il virus cinese”.
Insiste, l’ostinato populista, anzi rilancia. Non solo da mesi chiama un agente patogeno che è deflagrato ovunque partendo da Wuhan “cinese”, ma ora lo fa nel tempio dell’ipocrisia internazionale, l’Onu. A scanso di equivoci: “Dobbiamo ritenere responsabile la nazione che ha scatenato questa piaga nel mondo: la Cina”. Nessun complottismo, bastano le omissioni e le menzogne iniziali, bastano gli arresti di medici e infermieri, basta il tentativo, chiaro fin da subito, di volgere l’epidemia sanitaria in pandemia economica a proprio vantaggio. “Nei primi giorni del virus, la Cina ha bloccato i viaggi a livello nazionale, consentendo però ai voli di lasciare la Cina e infettare il mondo”. Perché questo doppiopesismo, se non per una perversa politica “virale” di potenza? Un’ovvietà che nessuno aveva mai sbattuto in faccia al Dragone, tantomeno alle Nazioni Unite. Del resto, “il governo cinese e l’Organizzazione mondiale della Sanità- che è virtualmente controllata dalla Cina- hanno dichiarato falsamente che non c’erano prove di trasmissione da uomo a uomo”. Stanate infine dall’evidenza, “successivamente hanno falsamente detto che le persone senza sintomi non avrebbero diffuso la malattia”.
Leader solitario contro i totalitarismi
Unico tra i leader occidentali (e quello più frequentemente accusato di “negazionismo”, per dire quanto le etichette progressiste siano ormai merce avariata), Trump inchioda il più vasto totalitarismo mondiale (un totalitarismo comunista, parrà sconveniente ai suonatori quotidiani dell’allarme fascismo, ma questo è) alla propria malafede colpevole nel dilagare della pandemia. Lo fa perché, e tutti i liberal-globalisti riciclatisi a cortigiani del tiranno Xi dovrebbero riflettere, “l’America sarà sempre un leader nei diritti umani”. “Sappiamo che la prosperità americana è il fondamento della libertà e della sicurezza in tutto il mondo”, scandisce letterale: altro che isolazionismo, disimpegno e tutte le fanfaronate precotte con cui l’Analista Unico ci ha taroccato la politica trumpiana. Rifare grande l’America vuol dire anzitutto rifare grande la “città sulla collina” reaganiana, la guardiana notturna dei popoli liberi. Meno a suo agio del predecessore con la retorica, Trump lo dimostra quasi asetticamente, mettendo in fila i fatti: “Abbiamo cancellato il Califfato dell’Isis al 100%. Abbiamo ucciso il suo fondatore e leader, al-Baghdadi. Ci siamo ritirati dal terribile accordo nucleare iraniano, abbiamo imposto sanzioni paralizzanti al principale sponsor mondiale del terrore ed abbiamo eliminato il principale terrorista del mondo, Qasem Soleimani”.
Non c’è alcuna rottura con l’eredità bushiana della guerra al terrorismo islamico. C’è rottura, questo sì, col dogma bellicista aprioristico del complesso militare-industriale, ma ancora una volta in continuità con un grande riferimento repubblicano, Dwight Eisenhower: “Abbiamo raggiunto una svolta epocale con due accordi di pace in Medio Oriente. Questi accordi di pace rivoluzionari sono l’alba del nuovo Medio Oriente”.
E ancora, il silenzio gretino e complice sulla Cina (le cui “emissioni di carbonio sono quasi il doppio di quelle degli Stati Uniti”), la rivendicazione di “aver rivitalizzato la Nato”, dove alcuni Paesi avvezzi da decenni a scroccare la propria difesa al contribuente americano “stanno ora pagando una quota molto più alta”, i tre vaccini anti-Covid che “sono nella fase finale dei test clinici”, con l’apparato per produrli in serie già testato. Non è un caso, che il discorso sia stato insabbiato.
È chiaramente il discorso del comandante in capo del mondo libero che, a differenza di commentatori e giornalisti, non vuole arrendersi al Partito Comunista Cinese, né agli ayatollah sgozzatori in nome di Maometto, né al burocraticismo fintamente neutrale dell’Onu e dei suoi satelliti. Un’ottima notizia.
Giovanni Sallusti, 23 settembre 2020